Capitolo V: Preghiera e liturgia
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El discurso que Jesucristo pronunció en la sinagoga de Cafarnaúm sobre el pan de la vida devela el más grande de los sacramentos de Dios: la Eucaristía. San Francisco va a conducirnos por el camino de la oración y de la contemplación, como ya había podido hacerlo con el hermano Bernardo o con el hermano León. En fin, el estudio del artículo 8 de nuestra regla nos dirá cómo Jesús fue el verdadero adorador del Padre.
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PREGHIERA E LITURGIA
IO SONO IL PANE DELLA VITA
Ci troviamo nella Sinagoga di Cafarnao. Appena qualche ora fa, Cristo ha moltiplicato i pani sulla montagna. Ora afferma questa verità : « Io sono il pane della vita ». Questa, invece che fare l’unanimità tra tutti coloro che l’ascoltano, crea un vero scandalo tra gli astanti. Non dobbiamo pensare che solo i suoi detrattori abituali si sciocchino di questa parola difficile a comprendersi ed a assimilarsi. Ovviamente questi ultimi criticano e contestano, - come al solito, potremmo dire - ; ma è tra gli stessi discepoli che si accende la contestazione e che a partire da questo istante, molti Lo abbandonano. Molti secoli dopo, l’Eucarestia, come la croce, è un mistero che supera talmente la nostra intelligenza umana, che continua ad essere una pietra di inciampo per gli uomini. Ma, come possiamo intuire, è sul piano spirituale che dobbiamo ricevere questa parola… * Il testo che segue è composto di estratti da Centro Editoriale Valtortiano, Isola del Liri, Italia, L’Evangile tel qu’il m’a été révélé, Maria Valtorta, Tomo 5, cap. 44, p. da 287 a 297.
Cercate di procurarvi il cibo che dura per la vita eterna
Gesu’ comincia a parlare : « In verità, vi dico : voi mi cercate, non tanto per ascoltarmi, né per i miracoli che avete visto, ma per questo pane che vi ho dato da mangiare a sazietà e senza spesa. I tre quarti tra di voi mi cercano per questo, oltre che per curiosità. Il sentimento viziato vuole delle cose staordinarie che lo smuovano e gli facciano provare quel brivido che tanto piace. La sensualità vuole soddisfare senza fatica la golosità con del pane che non si é pagato col sudore, siccome Dio lo ha donato con la sua bontà. Manca, quindi, alla ricerca, lo spirito soprannaturale.
I doni di Dio, non sono l’ordinario, sono lo straordinario. Non si possono pretendere, né ci si puo’ lasciare andare con pigrizia dicendo: « Dio me lo donerà ». E’ detto : « Col sudore della tua fronte mangerai il pane », ossia, il pane guadagnato con il lavoro.
Anche se Colui che è Misericordia ha detto : « Mi fa pietà questa folla : sono già tre giorni che si trattengono con me e non hanno da mangiare ; se li rimando a casa loro digiuni, verranno meno per via, perché alcuni di essi vengono da lontano ! », tuttavia non è detto che bisogni seguirlo per questo motivo. Non è per il cibo che riempie la pancia che uno deve seguirmi, ma per quello che nutre l’anima. Perchè voi siete delle anime ! E’ questo che siete ! La carne è il vestito, l’essere è l’anima. E’ lei che è immortale. La carne, come ogni vestito, si consuma e finisce; non merita che ci se ne occupi come se fosse una perfezione a cui bisogna offrire tutte le proprie cure.
Cercate quindi cio’ che è giusto procurarsi, non cio’ che è ingiusto. Cercate di procurarvi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna. Il Figlio dell’Uomo vi darà sempre la vita eterna, quando la vorrete. E se avrete in voi il cibo che non muore, potrete compiere le opere di Dio, poiché siete nutriti del cibo di Dio. »
L’assemblea risponde : « Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio ? »
Chi non ha fede, non puo’ credere alle mie parole
Gesu’ riprende : « E’ vero, voi osservate la Legge, o, piuttosto, voi conoscete la Legge. Ma conoscere non è praticare. Noi conosciamo, per esempio, le leggi di Roma, tuttavia un israelita fedele non le pratica altrimenti che nelle formule che gli vengono imposte nella sua condizione di sottoposto. La Legge che conoscete ed i Profeti dovrebbero, in effetti, nutrirvi di Dio e, di conseguenza, darvi la capacità di compiere le opere di Dio. Ma per fare questo, dovrebbero diventare una cosa sola con voi, come l’aria che respirate ed il cibo che assimilate, che si mutano in vita e sangue. E’ questo che sono venuto ad insegnare e a donare : il succo, l’aria della Legge e dei Profeti, per rendere il sangue e il respiro alle vostre anime che muoiono di fame e d’asfissia. Voi assomigliate a dei bambini che una malattia rende incapaci di sapere di che cosa si possano nutrire. Voi avete delle provviste di cibo, ma non sapete che devono essere mangiate, per cambiarsi in una cosa vitale e perché diventino veramente vostre, attraverso una fedeltà vera e pura alla Legge del Signore, che ha parlato a Mosé ed ai Profeti per tutti voi. Venire a Me per avere l’aria e il succo della Vita eterna è un dovere. Ma questo dovere presuppone in voi una fede. Perché se qualcuno non ha la fede, non puo’ credere alle mie parole e non viene a dirmi : « Dammi il pane vero ». E se non ha il pane vero, non puo’ compiere le opere di Dio, perché non ne ha le capacità. Per conseguenza, per essere nutriti di Dio e per compiere l’opera di Dio è necessario credere in Colui che Dio ha inviato.»
Scontenti, gli altri ribattono: « Ma quali miracoli compi tu, allora, perché ci sia possibile credere in Te come in un inviato di Dio e perché si possa vedere in Te il sigillo di Dio ? Che cosa fai tu che, sotto una forma più modesta, non abbiano già fatto i Profeti ? Mosé ti ha pure superato, perché non una sola volta, ma per quarant’anni ha nutrito i nostri padri con un cibo miracoloso. Infatti sta scritto che i nostri padri, per quarant’anni, mangiarono la manna nel deserto e si dice, per conseguenza, che Mosé diede loro da mangiare il pane venuto dal cielo. »
Non è Mosé che vi ha donato il pane del Cielo, ma é il Padre
« Voi siete nell’errore. Non è Mosé, ma é il Signore che ha potuto fare questo. E nell’Esodo si legge : " Ecco : Io faro’ piovere del pane dal cielo. Che il popolo esca e che raccolga quanto gli basta per ogni giorno, e che cosi’ io possa rendermi conto se il popolo cammina secondo la mia Legge. E che il sesto giorno ne raccolga il doppio per rispetto per il settimo giorno, il sabato." Non é quindi Mosé, ma è il Signore che ha procurato la Manna. Dio che puo’ tutto. Tutto.
E ricordatevi bene di cio’ che dice la Sapienza : siccome questo pane veniva dal cielo, da Dio, e dimostrava la dolcezza di Dio verso i suoi figli, aveva per ciascuno il gusto che ognuno voleva. Procurava a ciascuno gli effetti desiderati, ed era utile tanto al piccolino, con lo stomaco ancora imperfetto, quanto all’adulto dall’appetito e dalla digestione vigorosi, tanto alla ragazzina delicata, quanto all’anziano decrepito.
Lodare l’Eterno fin dalla prima ora del mattino, questo era l’insegnamento della manna per gli ebrei, ed Io ve lo ricordo perché é un dovere che dura e durerà fino alla fine dei secoli. Cercate il Signore ed i suoi doni celesti, senza oziare fino alle ore tardive del giorno o della vita. Alzatevi per lodarlo ancor prima che lo lodi il sorgere del sole, e nutritevi della sua parola che consacra, preserva e conduce alla vera Vita. Non è stato Mosé a darvi il pane del Cielo, ma, in verità, è Dio Padre Colui che lo ha donato. E ora, in verità, è mio Padre che vi dona il vero Pane, il Pane nuovo, il Pane eterno che discende dal Cielo, il Pane di misericordia, il Pane di Vita, il Pane che dona al mondo la Vita, il Pane che sazia ogni fame e toglie ogni languore, il Pane che dona a colui che lo riceve la Vita eterna e l’eterna gioia. »
« Donaci , o Signore, questo pane, e noi non moriremo più. »
« Voi morirete come ogni uomo, ma voi resusciterete per la Vita eterna se vi nutrite santamente di questo Pane, poiché rende incorruttibile colui che lo mangia. Esso sarà dato a coloro che lo richiedono al Padre mio con un cuore puro, un’intenzione retta ed una santa carità. E per questo che vi ho insegato a dire : « Dacci oggi il nostro pane quotidiano ». Ma per coloro che se ne nutriranno indegnamente, diventerà un brulichio di vermi infernali, come i cestini di manna conservati contro l’ordine ricevuto. E questo Pane di salute e di vita, diventerà per essi morte e condanna. Perché commetteranno un grandissimo sacrilegio coloro che metteranno questo Pane su una tavola spirituale corrotta e fetida e lo profaneranno mescolandolo alla sentina delle loro inguaribili passioni. Per costoro sarebbe stato meglio se non l’avessero mai preso !»
« Ma dov’é questo Pane ? Come lo si trova ? Come si chiama ? »
Io sono il Pane della Vita
«Io sono il Pane della Vita. E’ in me che lo si trova. Il suo nome è Gesù. Chi viene a Me non avrà mai più fame, chi crede in Me non avrà mai più sete, perché i fiumi celesti si verseranno in lui, spegnendo ogni ardore materiale. Io non scaccero’ colui che viene a Me, perché sono disceso dal Cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato. E la Volontà di mio Padre, del Padre che mi ha inviato, eccola : che io non perda nessuno di coloro che mi ha donato, ma che io li resusciti nell’ultimo giorno ».
« Ma chi mai ha potuto sentire la voce di Dio o vedere il suo volto ?» chiedono molti che cominciano a mostrare dei segni di irritazione e di scandalo. E finiscono col dire : « Tu deliri o tu sei un illuso. »
« Nessuno ha visto Dio, tranne colui che è di Dio. Costui ha visto il Padre ed io sono Costui. Ed ora ascoltate il Credo della vita futura senza il quale nessuno puo’ salvarsi. In verità, in verità vi dico, che colui che crede in Me ha la Vita eterna. In verità, in verità io vi dico che io sono il Pane della Vita eterna.
I vostri padri, nel deserto, hanno mangiato la manna e sono morti, poiché la manna era un cibo santo ma temporale e dava la vita per quanto bastava per arrivare alla Terra Promessa da Dio al suo popolo. Ma la Manna che io sono non avrà limiti di tempo né di potenza. Non solo essa è celeste, ma è anche divina e produce cio’ che è divino : l’incorruttibilità, l’immortalità di colui che Dio ha creato a sua immagine e somiglianza. Essa non durerà quaranta giorni, quaranta mesi, quaranta anni, quaranta secoli. Ma essa durerà tanto che durerà il Tempo e sarà donata a tutti coloro che hanno per essa una fame santa e gradita al Signore, che sarà lieto di darsi senza misura agli uomini per i quali si é incarnato, affinché abbiano la Vita che non muore.
Io posso donarmi, nella transustanziazione, per amore per gli uomini, in modo che il pane divenga Carne e che la Carne divenga Pane, per la fame spirituale degli uomini che senza questo Cibo morirebbero di fame e di malattie spirituali. Ma se qualcuno mangerà di quasto Pane con giustizia, vivrà in eterno. Il pane che io donero’ sarà la mia Carne immolata per la Vita del mondo ; sarà il mio Amore propagato nelle case di Dio affinché vengano alla mensa del Signore coloro che lo amano o che sono infelici e che trovino un conforto per il loro bisogno di fondersi in Dio ed un sollievo per le loro pene. »
« Ma come puoi dare la tua Carne da mangiare ? Per chi ci prendi ? Per delle belve sanguinarie ? Per dei selvaggi ? Per degli assassini ? A noi ripugna il sangue e il crimine.»
Se non mangerete la Carne del Figlio dell’uomo e non berrete il suo Sangue, non avrete in voi la Vita
« In verità, in verità vi dico che molte volte l’uomo è peggio di una bestia feroce e che il peccato rende più che selvaggio, che l’orgoglio da’ sete di omicidio e che il sangue ed il crimine non saranno ripugnanti a tutti coloro che sono qui presenti.
In verità, in verità io vi dico che se voi non mangerete la Carne del Figlio dell’uomo e se non berrete il suo Sangue, non avrete in voi la Vita. Colui che mangia degnamente la mia Carne e che beve il mio sangue ha la Vita eterna ed io lo resuscitero’ nell’Ultimo Giorno. Poiché la mia carne è veramente un Cibo ed il mio Sangue una Bevanda. Colui che mangia la mia carne e beve il mio Sangue dimora in Me, ed io dimoro in lui. Come il Padre vivente mi ha inviato, e siccome io vivo attravarso il Padre, allo stesso modo colui che mi mangia vivrà per Me e andrà dove io l’invio, farà cio’ che io desidero e vivrà con austerità come uomo, sarà ardente come un serafino e sarà santo, poiché, per potersi nutrire della mia carne e del mio Sangue, si vieterà gli errori e vivrà elevandosi per finire la sua ascensione ai piedi dell’Eterno. »
« Ma questo è pazzo ! Chi puo’ vivere in questo modo ? Nella nostra religione solo il prete deve purificarsi per offrire la vittima. Qui Egli vuole fare di noi altrettante vittime della sua follia. Questa dottrina è troppo faticosa e questo linguaggio è troppo difficile ! Chi puo’ ascoltarlo e metterlo in pratica ? » mormorano i presenti di cui molti sono dei discepoli reputati come tali.
La folla si disperde facendo numerosi commenti. Restano soli nella sinagoga il Maestro ed i più fedeli.
Con che cosa avete ascoltato e assimilato ?
« E voi vi scandalizzate di cio’ che ho detto ? E se vi dicessi che vedrete un giorno il Figlio dell’uomo salire al Cielo dove si trovava prima e sedersi alla destra del Padre ? E che cosa avete capito, assorbito, creduto fino ad ora ? E con che cosa avete ascoltato e assimilato? Solo con cio’ che è umano? E’ lo spirito che vivifica ed ha valore. La carne non serve a nulla. Le mie parole sono spirito e vita ed è con lo spirito che si deve ascoltarle e comprenderle per trarne la vita. Ma per molti di voi lo spirito è morto perché è senza la fede. Molti di voi non credono veramente e restano presso di Me in maniera vana. Essi non avranno la Vita, ma la Morte, poiché restano, come ho già detto, o per curiosità, o per affetto umano, o peggio, per dei fini ancora più indegni. Non sono stati condotti qui dal Padre in ricompensa della loro buona volontà, ma da Satana. In verità, nessuno puo’ venire a me se non gli è stato accordato dal Padre. Andatevene anche voi, voi che avete vergogna umanamente di abbbandonarmi, ma che avete ancor più vergogna di restare al servizio di qualcuno che vi sembra « folle e duro. ». Allora molti altri abbandonano il gruppo dei discepoli. Nella sinagoga restano solo Gesù, il capo della sinagoga e gli apostoli…
Tu solo hai parole di Vita eterna
Gesù si rivolge agli apostoli che, mortificati, restano in un angolo e dice loro : « Volete andarvene anche voi ? ». Lo dice senza amarezza e senza tristezza, ma con molta serietà.
Pietro, in uno slancio doloroso gli dice : « Signore, da chi andremo ? Verso chi ? Tu sei la nostra vita e il nostro amore. Tu solo hai parole di vita eterna. Noi sappiamo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio. »
Amen
La risposta di Pietro è una formidabile professione di fede, nonostante l’incomprensione che sembra avere anch’egli su quanto ha appena detto il Cristo. In effetti, nella sua professione di fede, Pietro non dice cio’ che, in quel momento, lo supera ancora : « io so che mangiando la Tua Carne e bevendo il Tuo Sangue avro’ parte alla vita eterna. » No, ma afferma molto più semplicemente : « Tu sei la nostra vita e il nostro amore. Tu solo hai parole di vita eterna. Noi sappiamo che tu sei il Cristo, il figlio di Dio. »
Consideriamo che al momento della comunione, quando il sacerdote presenta al fedele l’ostia consacrata e dice : « Il corpo di Cristo » ed il fedele risponde : « Amen », questo Amen è forse, innanzitutto, la stessa espressione della fede di Pietro, il riconoscere la nostra piccolezza rispetto a Colui che ci dà la vita * Questa vocazione alla vita eterna è soprannaturale. Dipende interamente dall’iniziativa gratuita di Dio, poiché egli solo puo’ rivelarsi e donare se stesso. Supera le capacità dell’intelligenza e le forze della volontà dell’uomo, come di ogni creatura. CEC 1998.. Amen è la parola ebraica che significa : « Io credo » * In ebraico, « Amen » si ricongiunge alla stessa redice della parola « credere ». Tale radice esprime la solidità, l’affidabilità, la fedeltà. CEC 1062.. Si : io credo che è il Corpo di Cristo che mi è donato e non un semplice pezzo di pane * Nell’epiclesi la Chiesa prega il Padre di mandare il suo Spirito Santo sul pane e sul vino, affinché diventino, per la sua potenza, il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo e perché coloro che partecipano all’Eucarestia siano un solo corpo e un solo spirito. Nel racconto dell’istituzione (che segue l’epiclesi) l’efficacia delle parole e dell’azione di Cristo, e la potenza dello Spirito Santo, rendono sacramentalmente presenti sotto le specie del pane e del vino il suo Corpo e il suo Sangue, il suo sacrificio offerto sulla croce una volta per tutte. CEC 1353.. Si, io credo che attraverso il Corpo di Cristo, Dio santifica il mondo * Il progresso spirituale tende all’unione sempre più intima con Cristo. Questa unione si chiama « mistica » perchè partecipa al mistero di Cristo mediante i sacramenti – « i santi misteri » - e, in lui, al mistero della Santissima Trinità. Dio ci chiama tutti a questa intima unione con lui, anche se soltanto ad alcuni sono concesse grazie speciali o segni straordinari di questa vita mistica, allo scopo di rendere manifesto il dono gratuito fatto a tutti. CEC 2014.. Si, io credo che nello Spirito Santo, l’Eucarestia è il vertice del culto * Il culto è l’insieme degli atti attraverso i quali una comunità umana onora i suoi dei e intrattiene relazioni con essi. Si coltiva la relazione con Dio come si coltiva un’amicizia : si « cura » la divinità in se stessa ed in vista dei suoi benefici. Il culto è la parte umana della liturgia : la società degli uomini, desiderosa di mantenere il suo legame con Dio. Parte troppo umana, quando è troppo interessata e rischia di deviare in magia ; parte vera e giusta, quando essa è, in atto, il si degli uomuni in vista dell’incontro con Dio. (Edizioni C.L.D. 1983, Dictionnaire de liturgie, Dom Robert Le Gall, definizione del culto (estratti) p. 83). che gli uomini rendono a Cristo e, attraverso di Lui, al Padre. Si, io credo che questa comunione realizza l’unità del popolo di Dio * E siccome non vi è che un pane solo, noi, pur essendo molti, formiamo un solo corpo ; tutti, infatti, partecipiamo del medesimo pane. 1 Co 10 17..
Gli apostoli sarebbero i soli ad aver potuto beneficiare dell’Eucarestia ?
« Prendete e mangiate... prendete e bevete ». Ma la sera di giovedi’ santo noi non eravamo a Gerusalemme. L’annuncio che Gesù Cristo aveva potuto fare nella sinagoga di Cafarnao non si rivolgeva soltanto a coloro che erano presenti, la sera di quel famoso giovedi’ santo ? Ma certo che no ! Gesù è venuto per salvare tutti gli uomini e lo proclama nella sinagoga precisando che la promessa di vita eterna non è rivolta soltanto ad un piccolo gruppo di individui, ma all’umanità intera : « Io sono il pane vivo disceso dal Cielo. Chi mangerà questo pane vivrà in eterno. Ed il pane che io dono è la mia carne per la vita del mondo » (Jn 6 51). Si ! E’ proprio per la vita del mondo intero. In tal modo, le parole che il sacerdote pronuncia al momento della consacrazione non sono un semplice ricordo di quelle pronunciate da Gesù Cristo e che non produrranno alcun effetto sulle specie presenti sull’altare, ridotte in tal modo a non essere altro che dei simboli. Attraverso le parole consacratorie ed attraverso l’intervento dello Spirito Santo « il pane diventa la carne di Gesù. Allo stesso modo, il vino diventa il suo sangue. E’ in qualità di sangue versato che figura in questa coppa, ed è per questo che suggella la vera alleanza tra Dio e noi. L’antica alleanza era reale, ma essa aveva soprattutto valore di figura della nuova alleanza che è definitiva. Questo sangue versato durante il sacrificio della Passione è per noi fonte di tutti i beni, della remissione dei nostri peccati, della grazia divina, delle virtù soprannaturali, degli atti meritori, della gloria eterna. Questa alleanza è, per parlare propriamente, il testamento di Gesù che sta per morire e che dispone del suo sangue. E cosi’ come, dai tempi dell’Esodo, tutti i figli di Israele mangiavano un agnello che ricordava loro quello che i loro padri avevano dovuto mangiare per sfuggire al flagello che li minacciava, allo stesso modo le generazioni cristiane sono invitate a mangiare la carne e a bere il sangue del divino Agnello. Per questo è necessario che un sacerdozio venga perpetrato, facendo « questo in memoria di Gesù », un sacerdozio che partecipi a quello del Messia, sacerdote secondo l’Ordine di Melkisedek * Librairie LECOFFRE J. GABALDA et Cie Editeurs 1993, Synopse des quatre Evangiles en Français, Lagrange et Lavergne, p. 221, nota 259. ».
La « quantità » di Pane e di Vino è illimitata
L’Amore di Dio è senza limiti. Allo stesso modo, non è possibile « misurare » il « peso » delle ostie ed il « numero di litri » di vino che sono stati consumati dai tempi dell’istituzione dell’Eucarestia e rapportarli al « peso » di un uomo. Il passaggio del Vangelo della moltiplicazione dei pani * Prima moltiplicazione dei pani in Mt 14 13-21, Lc 9 10-17, Mc 6 31-44, Jn 6 1-14. Seconda moltiplicazione dei pani in Mt 15 32-39 e Mc 8 1-9. ci mostra la potenza divina che realizza cio’ che la semplice natura umana non puo’ realizzare.
Venuta la sera, i discepoli si avvicinano a Gesù e gli dicono : « Congeda la folla : che vadano nei villaggi a comprarsi da mangiare ! » Ma Gesù disse loro : « Non hanno bisogno di andarsene. Dategli voi stessi da mangiare. » I discepoli rispondono che sono nell’incapacità materiale di nutrire una tale folla ; in effetti, la folla consta di circa cinquemila uomini, senza contare le donne ed i bambini, che bisogna nutrire ugualmente. « Abbiamo solo cinque pani e due pesci » dicono i discepoli. In altre parole, è impossibile nutrire questa folla ! Ma cio’ che è impossibile all’uomo è possibile a Dio. E Gesù, dopo aver chiesto ai discepoli di portargli quello che hanno, prende i cinque pani e i due pesci e, come farà la sera del giovedi’ santo, leva gli occhi al cielo e pronuncia la benedizione. Spezza i pani, li dà ai discepoli e questi li danno alla folla. Tutti mangiano secondo il loro appetito. E come per significare che la moltiplicazione dei pani non si limita ai presenti, « dei pezzi rimasti ne raccolsero dodici ceste piene », tante quanti sono gli apostoli. Gli apostoli, assistiti dai sacerdoti, avranno quindi la missione di distribuire l’Eucaristia in tutto il mondo. E come il Cristo ha potuto moltiplicare i pani per nutrire la folla, essi stessi potranno farlo grazie alle parole consacratorie e all’intervento dello Spirito Santo. L’uomo continuerà ad apportare qualche cosa. Non saranno più i cinque pani ed i due pesci, ma il pane, frutto della terra e del lavoro dell’uomo, e il vino, frutto della vite e del lavoro dell’uomo. L’intervento di Dio farà il resto : Egli santificherà pienamente l’offerta con la potenza della sua benedizione ; la renderà perfetta e degna di Lui ; essa diventerà, cosi’, per noi, il corpo ed il sangue del Figlio diletto, Gesù Cristo nostro Signore.
Come ricevere il Corpo e il Sangue di Cristo ?
Facciamo una comparazione. Se dovessimo ricevere alla nostra tavola familiare il nostro capo dello Stato, come ci verstiremmo per questa occasione? Resteremmo in tenuta di giardinaggio o metteremmo un abito con una camicia bianca e ben stirata? Prenderemmo i piatti di tutti i giorni, magari un po’ spaiati, o il servizio del matrimonio, con i piatti belli ed i calici ? Sceglieremmo senz’altro il meglio per ricevere l’ospite eccezionale, anche se non condividessimo tutte le sue idee. Prenderemmo, nonostante tutto, quanto abbiamo di meglio in ragione della funzione occupata dalla persona : primo rappresentante del paese. Prendere e fare il meglio corrisponderebbe pure al più elementare dovere di cittadino.
Allo stesso modo, per ricevere il Corpo e il Sangue del Signore, come vestiremo la nostra anima ? La lasceremo nera di tutti i peccati commessi, o la renderemo linda con l’umiltà, e la purezza e la vestiremo con la carità ? In verità, chi vuole ricevere Cristo nella Comunione eucaristica deve essere in stato di grazia * Vedere in proposito il § la riconciliazione, fonte di grazie al capitolo precedente di questo manuale. . Se uno è consapevole di aver peccato mortalmente, non deve accostarsi all’Eucarestia senza prima aver ricevuto l’ assoluzione nel sacramento della Penitenza * CEC 1415.. Ricevere Cristo nella comunione eucaristica in stato di peccato mortale * Il peccato mortale distrugge la carità nel cuore dell’uomo a causa di una violazione grave della legge di Dio ; distoglie l’uomo di Dio, che è il suo fine ultimo e la sua beatitudine, preferendo a lui un bene inferiore. Il peccato mortale, in quanto colpisce in noi il principio vitale che è la carità, richiede una nuova iniziativa della misericordia di Dio e una conversione del cuore, che normalmente si realizza nel sacramento della Riconciliazione. CEC 1855 et 1856 (estratti). Il peccato veniale lascia sussistere la carità, quantunque la offenda e la ferisca (CEC 1855). « L’uomo non puo’ non avere almeno peccati lievi, fin quando resta nel corpo. Tuttavia non devi dar poco peso a questi peccati, che si definiscono lievi. Tu li tieni in poco conto quando li soppesi, ma che spavento quando li numeri ! Molte cose leggere, messe insieme, ne formano una pesante : molte gocce riempiono un fiume e cosi’ molti granelli fanno un mucchio. Quale speranza resta allora ? Si faccia anzitutto la confessione… » Sant’Agostino, In epistulam Johannis ad Parthos tractatus, 1, 6. è una grave offesa fatta a Dio. Colui che la commette, invece di operare per la propria salvezza, arriva ad un risultato opposto: corre alla sua perdita. Il grande peccatore è come un grande malato, un malato nell’anima. Ad una persona dal corpo gravemente ammalato si puo’ dare la stessa alimentazione che si dà ad un uomo sano ? Certamente no ! All’ammalato si amministra un regime alimentare severo e delle medicine adatte. Quando ritrova la salute, allora puo’ aver nuovamente accesso all’alimentazione dell’uomo sano. Riguardo all’anima, è la stessa cosa. La medicina si trova nel pentimento e nel sacramento della Riconciliazione. Il nutrimento dell’anima, invece, é l’Eucarestia.
Prima di concludere la prima parte di questo capitolo, rileggiamo la prima ammonizione di Francesco che riguarda, appunto, il Corpo del Signore * Mentre i sacerdoti ed i fedeli tendevano a perdere di vista il carattere sacrificale della messa e abbandonavano la comunione, Francesco d’assisi, sempre guidato dal Vangelo e dall’insegnamento della Chiesa, ci offre un tutt’altro tono. I suoi scritti ci informano chiaramente sulla sua intelligenza della fede eucaristica. Cio’ che dice Francesco nei suoi scritti non rappresenta un insegnamento completo su tutti gli aspetti dell’Eucaristia. Ci mostra semplicemente i grandi assi della sua fede. Possiamo metterne in evidenza due : 1) l’Eucarestia si prolunga nell’incarnazione rivelatrice ; 2) l’Eucarestia commemora il sacrificio redentore. Essenzialmente, in questa prima ammonizione scopriamo il primo punto importante della fede eucaristica di Francesco. Ci basterebbe contare il numero di volte in cui le parole spirito e vedere compaiono nel testo. Francesco insegna che, solamente grazie allo Spirito Santo, i fedeli possono vedere il Signore nell’Eucarestia e riceverlo degnamente. Inoltre, non si puo’ andare al Padre se non attraverso il Figlio ; ma il Figlio non abita più in mezzo a noi sotto forma di uomo, bensi’ sotto forma di Eucarestia. Dobbiamo quindi saper « vedere » l’Eucarestia con gli occhi dello Spirito e riconoscere in essa la presenza del Figlio di Dio. (Edizioni Francescane, Parigi, 1989, Il Cristo nel pensiero di San Francesco di Assisi nei suoi scritti, Norbert Nguyên Van Khanh, ofm., estratti delle pp. 195, 197 e 201)..
Il Corpo del Signore
Il Signore Gesù dice ai suoi discepoli : « Io sono la via, la verità e la vita ; solo attraverso di me si va al Padre. Se voi mi conoscete, conoscerete anche il Padre mio ; ma ben presto voi lo conoscerete e, del resto, voi lo avete già visto. »
Filippo gli dice : « Signore, mostraci il Padre e questo ci basta. » Gesù gli risponde : « Sono con voi da coi’ tanto tempo e voi non mi conoscete ancora ? Filippo, chi vede me, vede anche il Padre mio. » (Jn 14 6-9).
Il Padre abita una luce inaccessibile ; Dio è spirito ; nessuno ha mai visto Dio. Siccome Dio è spirito, non lo si puo’ vedere in altro modo, se non attraverso lo Spirito, poiché è lo spirito che fa vivere, la carne non serve a nulla.
La stessa cosa vale per il Figlio : siccome è uguale al Padre, lo si puo’ vedere allo stesso modo in cui si puo’ vedere il Padre, ossia attraverso lo Spirito.
Ecco perchè sono stati condannati tutti coloro che un tempo hanno visto soltanto l’uomo nel Signore Gesù Cristo, senza vedere nè credere, secondo lo Spirito e secondo Dio, che è veramente il figlio di Dio. Allo stesso modo sono condannati tutti coloro che oggi rassomigliano loro : costoro vedono bene, sotto la forma del pane e del vino, il sacramento del Corpo di Cristo, consacrato sull’altare dalle mani del sacerdote per mezzo delle parole del Signore ; ma non vedono né credono, secondo lo Spirito e secondo Dio, che là sono realmente presenti il santissimo Corpo ed il santissimo Sangue di Gesù Cristo nostro Signore, né alla testimonianza dello stesso altissimo che afferma : « questo è il mio Corpo, ed il Sangue della Nuova Alleanza, che sarà versato per la moltitudine » ; e ancora : « chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna ».
Lo Spirito del Signore abita in coloro che credono in lui ; è quindi lui che riceve il Corpo ed il Sangue santissimi del Signore * Si capisce meglio questa affermazione alla luce della dottrina, allora molto corrente, di Pietro Lombardo, che identificava grazia santificante e Spirito Santo. All’epoca di San Francesco questa dottrina non era stata condannata. Solamenta più tardi San Bonaventura e San Tommaso introdussero l’illuminante distinzione tra grazia creata (che rende l’uomo figlio di Dio) e grazia increata (che è precisamente lo Spirito Santo) : Bréviloque V, 1-2 ; Somme Théol. III, 2, 10, et 1, 38, 1-2. (Editions Franciscaines 1981, Saint François d’Assise - Documents, Théophile DESBONNETS et Damien VORREUX, nota 12 p. 40).. Tutti gli altri, coloro che non hanno parte a questo Spirito, se hanno l’audacia di ricevere il Signore, mangiano e bevono la loro propria condanna.
Razza carnale, per quanto tempo ancora avrete il cuore cosi’ duro ? Perché non riconoscere la verità ? Perché non credere al Figlio di Dio ? Vedete : ogni giorno si abbassa, esattamente come nell’ora in cui, lasciando il suo palazzo reale, si è incarnato nel seno della Vergine ; ogni giorno è lui stesso che viene a noi, e sotto le apparenze più umili ; ogni giorno discende dal seno del Padre sull’altare tra le mani del sacerdote. E, come un tempo si presentava ai santi apostoli in una carne ben reale, allo stesso modo si mostra ai noi occhi ora nel pane sacro. Gli apostoli, quando lo guardavano con i loro occhi di carne, non vedevano altro che la sua carne, ma lo contemplavano con gli occhi dello spirito e credevano che era Dio. Anche noi, quando, con i nostri occhi di carne, vediamo del pane e del vino, dobbiamo saper vedere e credere fermamente che sono presenti, reali e vivi, il Santissimo Corpo ed il Santissimo Sangue del Signore. Tale è infatti il mezzo che ha scelto per restare per sempre con coloro che credono in lui, come egli stesso ha detto : « Io sono con voi fino alla fine del mondo. * Adm 1. ».
CAMMINO DI CONTEMPLAZIONE
Ritroviamo ora Francesco in due episodi della sua vita in cui lo vediamo agire in compagnia dei suoi fratelli. Mentre il primo episodio si situa all’inizio della vita di Francesco nella fraternità, con l’arrivo di Bernardo da Quintavalle, il secondo si troverà situato verso la fine della sua vita, nell’episodio dell’Alverno, con Frate Leone che sa farsi voler bene. Noi vedremo come procede per aiutare l’uno e l’altro nella loro ricerca del Signore.
Un curioso spettacolo
Sono passati due anni da quando Francesco, davanti al Vescovo di Assisi, si è spogliato di tutti i suoi beni. Da allora, Francesco ha restaurato tre chiese che si trovavano in un triste stato di deterioramento. Tuttavia, questi lavori non gli hanno attirato tutti i favori della popolazione di Assisi e dei suoi vecchi amici : « Ragazzi, guardate quel tipo che passa. E’ ancora quell’originale che aveva tutto per essere felice e che ha rovinato tutto per diventare riparatore di cappelle. Tenete, siccome vuole delle pietre, lanciategliene qualcuna, quando passerà. Ah, ah, questo gli metterà forse del piombo nella testa e lo farà tornare sulla terra, quel povero matto ! » « Oh, è il nostro amico Francesco ! Allora Francesco, il sole ti batte sempre forte sulla testa ? Ah, sembrerebbe di si ! Il caso è grave ! E avanzano i lavori delle cappelle ? E ti piace giocare a fare il muratore, figlio del negoziante di stoffe ? » Ma Francesco non risponde nulla a tutto cio’. Non sembra nemmeno afflitto, un po’ alla maniera di un sordo a cui si potrebbe raccontare qualsiasi cosa ma che non reagisce perché non sente. Non perché disprezzi tutti coloro che lo insultano, o perché abbia piacere a subire delle offese. Ma per colui che fa lo sforzo di guardare con lo spirito, sembra piuttosto che qualche cosa di particolare trasporti Francesco al di fuori degli schemi umani, rendendolo paziente e costante come se fosse sordo e muto.
L’invito di Messere Bernardo da Quintavalle
Un uomo, tuttavia, è colpito dalla pazienza e dalla costanza di Francesco. Quest’uomo è uno dei più nobili e ricchi della città : si tratta di Messere Bernardo da Quintavalle. E in Assisi, Messere Bernardo è molto conosciuto. Sa sua grande saggezza lo fa essere amato e considerato da tutti. Questi pensa che se Francesco, aborrito e disprezzato da tutti, resta cosi’ paziente, cosi’ costante e cosi’ dolce, è perché ha ricevuto una grande grazia da parte del Signore. Un giorno, incontrandolo nelle strade di Assisi, Bernardo dice a Francesco : « Ti riceverei con grande piacere questa sera a cena. Verrai ? » E Francesco risponde : « Oh, Messere Bernardo, se le fa piacere che io venga a cena da lei, allora accetto il suo invito ». Venuta la sera, i due commensali consumano le vivande che erano state preparate, ma restano maggiormente assorbiti dalla loro conversazione che dal pasto. Il tema, a dire il vero, ha di che mantenere viva tutta la loro attenzione : il Cristo, vero Dio e vero uomo, è Signore e Servitore. Bernardo è colpito dalla visione di Francesco su Cristo. Attraverso delle parole semplici, tutto sembra cosi’ chiaro, cosi’ evidente e cosi’… esaltante. Alle parole di Francesco, il cuore di Messere Bernardo batte forte nel suo petto. La prima impressione che aveva avuto trova conferma : Francesco, anche se sembra un matto agli occhi della popolazione di Assisi, è toccato dalla grazia, ed è questa che lo fa agire, che lo fa vibrare, che lo fa pure respirare. Quando la conversazione finisce, la notte è già molto avanzata. « Non ti posso lasciare partire nella notte ad un’ora simile. Ho nella mia stanza un secondo letto in cui tu potrai dormire fino al mattino. Resta, ti prego ». Francesco accetta l’invito di Messere Bernardo ed entrambi si coricano e si addormentano, apparentemente.
« Mio Dio, mio Dio », e nient’altro
Apparentemente, quindi, entrambi si addormentano. Francesco, appena entrato nella stanza, crolla di fatica sul letto che gli è stato destinato. Messere Bernardo si corica a sua volta e non tarda a russare vigorosamente, come se dormisse. Perché in realtà, nessuno dei due dorme. Messere Bernardo si è messo in testa di esaminare la santità di Francesco e fa finta di dormire per vedere che cosa succederà durante il suo sonno. E Francesco, ugualmente, fa finta di dormire perché ha solo un desiderio : pregare. Ma, fedele alla parola evangelica che dice di non pregare sulle piazze pubbliche per farsi ammirare dagli uomini, ma di pregare il Padre nel segreto (Mt 6 5-6), attende che Messere Bernardo si sia addormentato. E appena lo crede addormentato, Francesco si rialza senza fare rumore, si gira verso la finestra rimasta aperta e si inginocchia. Col favore di una piccola lampada sempre accesa durante la notte, Messere Bernardo non perde nessuno dei fatti e dei gesti di Francesco. Lo vede inginocchiato, gli occhi e le mani alzati verso il cielo e lo sente pregare in questo modo : « Mio Dio ! Mio Dio ! ». Questa è del resto tutta la preghiera di Francesco: « Mio Dio, mio Dio » e nient’altro. Bernardo, sovente impietrito nelle formule di preghiera già fatte, ode questa preghiera cosi’ semplice « Mio Dio ! Mio Dio ! ». Queste parole penetrano in un istante nel suo cuore con la dolcezza del latte e del miele. Fino ad allora aveva fatto finta di dormire al fine di esaminare, per cosi’ dire, la santità di Francesco. Ma in quell’istante, questo non gli importa più. Questa preghiera che sente pronunciare lo assorbe interamente. Essa gli rivela cio’ a cui è chiamato, a cui siamo tutti chiamati : « Verso di Te, Signore ». Quest’istante ha dovuto marcarlo per sempre, poiché i Fioretti ci precisano che dopo essere diventato Fratello Bernardo ebbe da Dio tante grazie da restare sovente rapito in contemplazione di Dio. Ma non andiamo troppo velocemente e ritorniamo alla cronologia del racconto.
La via evangelica
Di primo mattino, dopo il risveglio di tutta la casata, Messere Bernardo rivela la sua intenzione a Francesco in questi termini : « Ho deciso completamente nel mio cuore di abbandonare il mondo e di seguirti in quello che mi ordinerai. » Alla gioia che Francesco manifesta a questa conversione si mescola un sentimento di gravità di fronte alla fiducia infinita che gli testimonia Messere Bernardo : « seguirti in quello che mi ordinerai ». Lui, Francesco, non puo’ disporre in tal modo della vita di una persona. Cosi’ invita Bernardo a prendere consiglio presso il principale interessato associandosi egli stesso all’iniziativa. « Messere Bernardo, quello che lei dice è cosi’ grave e rischia di cambiare talmente la sua vita che bisogna chiedere consiglio di Nostro Signore Gesu’ Cristo. Preghiamolo affinché ci mostri la sua volontà su questo punto e che ci dica in che modo possiamo eseguirla. Andiamo insieme all’arcivescovado dove c’è un buon sacerdote. Faremo dire la messa là. Resteremo in orazione fino a Terza * La quarta delle ore canoniali che si recitava lerso le 9. e pregheremo Dio che per mezzo di tre aperture del messale ci mostri la via che gli fa piacere che noi scegliamo. » Messere Bernardo, che tutto si aspettava tranne quello, risponde, cio’ nonostante, di essere totalmente d’accordo. Si recano allora all’arcivescovado e tutto accade secondo quanto avevano deciso. Il sacerdote, di fronte alla serietà di Messere Bernardo da Quintavalle accondiscende alla richiesta originale dei due amici. Per tre volte apre il messale in nome di Cristo e legge ogni volta la prima parola su cui si posano i suoi occhi. Ecco questa parola :
- alla prima apertura : « Se vuoi essere perfetto va, vendi quello che hai e dallo ai poveri, poi vieni e seguimi » (Mt 19 21)
- alla seconda apertura : « Non prendete niente per il viaggio, né bastone, né bisaccia, né scarpe, né denaro » * Lc 9 3. Il testo di San Luca non parla di scarpe, ma vedi Mt 10 10..
- alla terza apertura : « Chi vuole venire dietro a me, che rinunci a se stesso, prenda la sua croce e mi segua » (Mt 16 24).
Allora Francesco dice a Messere Bernardo : « Ecco il consiglio che Cristo ci dà ; vada e faccia fino in fondo cio’ che ha udito ; e sia benedetto Nostro Signore Gesù Cristo che ha ritenuto degno di mostrarci la sua via evangelica. »
A queste parole, Messere Bernardo va a vendere tutto cio’ che possiede, ossia molto, poiché, come abbiamo già detto, è molto ricco. E distribuisce il prodotto della vendita ai poveri, alle vedove, agli orfani, ai pellegrini, ai monasteri ed agli ospedali. Notiamo, per inciso, che nulla di tutto questo cade nella bisaccia di Francesco, che lo aiuta in quest’opera di misericordia. E Messere Bernardo da Quintavalle diventa Fratello Bernardo. Più tardi, Francesco dirà di lui « che è degno di tutto rispetto e che ha fondato l’Ordine, perché é stato il primo ad avere abbandonato il mondo senza tenere niente per se, ma donando tutto ai poveri di Cristo ».
Mio Dio, fin dall’alba ti cerco, ha sete di te l’anima mia
In questo racconto, Francesco tende con tutto il suo essere ad unirsi al Dio della vita : « Mio Dio ! Mio Dio ! » Ma è solo Francesco che cerca questa unione ? La sua preghiera non è piuttosto la risposta al desiderio di Dio ? Poiché tutta la storia di Israele fa risplendere questa verità essenziale : non è l’uomo che, per primo, tende ad unirsi a Dio ; è Dio stesso che, per primo, è entrato in relazione con l’uomo e vuole unirsi a lui, o, più precisamente, unirlo a lui. Non sarà mai detto abbastanza : il più importante, nella vita di unione con Dio, non è il cammino, sempre incerto, che l’uomo puo’ compiere verso Dio, ma piuttosto, quello che Dio stesso ha compiuto e continua a compiere verso l’uomo. Prima di qualsiasi desiderio da parte dell’uomo, c’è l’iniziativa piena d’amore di Dio che vuole incontrare l’uomo e comunicarsi a lui. L’itinerario dell’anima verso Dio ha sempre come punto di partenza Dio. Quando l’uomo si mette in cammino, come ha potuto fare in questa narrazione Bernardo da Quintavalle, Dio l’ha già raggiiunto. E il movimento dell’uomo non è altro che la presa di coscienza, sempre più profonda, e l’accoglienza sempre più piena di amore della comunicazione di Dio. Allo stesso modo, noi dobbiamo innanzitutto imparare ad osservare, a contemplare la comunicazione che Dio ci fa di se stesso, come Francesco ha potuto e saputo fare. * Con i ritocchi (estratti e/o aggiunte) inevitabili resi necessari per integrare il testo copiato nel manuale di formazione, il commento di questo paragrafo, una parte dei commenti seguenti ed il racconto dell’Alverno e del presepe sono estratti da Desclée de Brouwer 1995, Chemin de contemplation, Eloi Leclerc, Prologo, Cap. 1 e Conclusione.
Guardare ! Contemplare !
Si vede bene solo nella luce, attraverso la luce. E Gesù ci dice : «Io sono la luce del mondo » (Jn 8 12). E precisa anche : « La lampada del corpo è l’occhio. Se il tuo occhio è sano, l’intero corpo sarà nella luce. Ma se il tuo occhio è malato, il corpo intero sarà nelle tenebre » (Mt 6 22-23). Gesù si offre al nostro sguardo, alla nostra contemplazione. Qui, il significato dell’occhio non si limita all’aspetto morale * E’, tra l’altro, il miracolo della moltiplicazione della Parola, poichè, cosi’ come è avvenuto durante la moltiplicazione dei pani, la Parola di Dio si moltiplica e si riceve sotto un triplo aspetto : il suo senso spirituale, il senso morale ed il senso attuale., anche se questo aspetto ne fa parte. Alla luce materiale di cui l’occhio, sano o malato, dispensa o rifiuta il beneficio al corpo, è comparata la luce spirituale che sprigiona dall’anima : se essa stessa si trova oscurata, l’accecamento è ben peggiore che quello della cecità fisica. Ma se l’occhio contempla Colui che é, che era e che sarà, allora l’anima intera è nella luce. E l’uomo diventa sempre cio’ che contempla. Questo modo di guardare ci fa partecipare alla vita divina. Ci fa vivere in Dio. Non si tratta, quindi, di tendere verso Dio, ma di accoglierlo in una pace interiore sempre più grande e più spoglia. Non si mira al sole ; non si cerca di raggiungerlo ; il sole viene a noi ; i suoi raggi ci toccano ancora prima che noi possiamo vederlo.
« Non siamo noi, scrive San Giovanni, che abbiamo amato Dio, ma è lui che ci ha amati.» (1 Jn 4 10). « Ci ha amati per primo » (1 Jn 4 19).
La fede nella Parola di Dio
Abbiamo già parlato, all’inizio di questo capitolo, della necessità di avere fede nella Parola di Dio per comprendere il discorso sul Pane di vita. Riguardo questa partecipazione alla vita divina nella preghiera, troviamo la stessa necessità. In effetti niente, eccetto la fede nella Parola, ci puo’ assicurare, e nemmeno ci puo’ permettere di pensare che il Dio infinito si comunichi effettivamente a noi, nella sua santità e nella sua gloria, e che ci associ alla sua vita intima. E questa unione a Dio sarà tanto più intensa quanto più la fede sarà viva. Francesco, nel mezzo usato per rispondere alla ricerca di Massere Bernardo, mette in pratica in maniera radicale e senza vie di mezzo la Parola di Dio : « se vuoi essere perfetto va, vendi cio’ che hai e dallo ai poveri, poi vieni e seguimi. » Sente questa parola ; immediatamente la vive e, piuttosto, vive di essa. L’esperienza di comunione con Cristo è vissuta da Francesco nella fede. Non ha altro appoggio che la Parola. Nella sua Parola il Dio vivente si comunica a noi. La Parola non è la visione. Fa sempre appello alla fede. Francesco crede a questa Parola. La vive. Concretizza, rendendola attuale, la lettera di Paolo ai Galati : « Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me » (Ga 2 20).
Io ti ringrazio, o Padre, di aver creato il mondo visibile e invisibile
Avvenne in una bella notte di fine estate sul monte Alverno. Dopo una giornata ben calda, faceva piacere respirare un po’ di aria fresca. Il bosco vicino, schiacciato dal sole di giorno, riprendeva fiato dolcemente. Attraverso la finestra del piccolo eremitaggio, Fratello Francesco guardava il cielo tutto scintillante di stelle. La grandezza, il silenzio e l’indicibile purezza del firmamento lo penetravano profondamente. Vibrava interiormente a queste immensità lontane e tuttavia fraterne : « Le nostre sorelle stelle, chiare, preziose e belle… » mormoro’ in guisa di saluto amicale. Vedeva tutte le cose all’interno di una unità della creazione. Poi aggiunse : « Ti rendo grazie, o Padre, di aver creato il mondo visibile e invisibile… » Una stella filante attraverso’ il cielo, come la firma luminosa del Creatore sulla sua opera. Una parte della notte passo’ cosi’, nell’adorazione e nella lode.
Al mattino, Francesco vide venire da lui Frate Leone, timido e timoroso come al solito, ma con un’aria particolarmente abbattuta in quell’inizio di giornata. Questi confido’ a Francesco di non essere riuscito a dormire tutta la notte, in preda ad un grande tormento dell’ anima. Non sapeva più a che punto era, nella sua vita di unione con Dio. Vedeva innalzarsi davanti a lui la montagna insormontabile delle sue imperfezioni e delle sue infedeltà. Francesco lo ascoltava, silenzioso. Leone carezzava una segreta speranza. Desiderava interiormente ottenere da Francesco qualche scritto pio di sua mano poiché, pensava, lo avrebbe liberato certamente dal suo turbamento e da tutte le sue angosce. Sarebbe stato un talismano infallibile che avrebbe ridato serenità alla sua anima, in ogni circostanza.
Francesco, che conosceva bene suo fratello, indovino’ il suo desiderio. Prese la pergamena che Leone teneva discretamente, pronta nella sua mano. Si raccolse un istante, poi si mise a scrivere. Le parole venivano da sole sotto la sua piuma. Le frasi si succedevano, corte, rapide, alate. Era evidente, scriveva con gioia. Non redigeva un’esortazione o un’ammonizione. Lasciava il suo cuore cantare. Era una litania di lode.
Tu sei santo, o Signore, solo Dio
- Tu sei santo, o Signore, solo Dio, che compi cose meravigliose.
- Tu sei forte, tu sei grande, tu sei altissimo, tu sei onnipotente,
- tu Padre Santo, re del cielo e della terra.
- Tu sei trino e uno,
- Signore Dio degli dei.
- tu sei il bene, ogni bene,
- il sommo bene,
- il Signore Dio vivo e vero.
- Tu sei amore, carità ;
- tu sei sapienza, tu sei umiltà,
- tu sei pazienza, tu sei bellezza,
- tu sei mansuetudine, tu sei sicurezza,
- tu sei quiete, tu sei gioia,
- tu sei nostra speranza e letizia,
- tu sei giustizia, tu sei temperanza,
- tu sei ogni nostra ricchezza in sovrabbondanza.
- Tu sei bellezza, tu sei mansuetudine;
- tu sei protettore, tu sei nostro custode e difensore,
- tu sei fortezza, tu sei refrigerio.
- Tu sei la nostra speranza,
- tu sei la nostra fede, tu sei la nostra carità,
- tu sei tutta la nostra dolcezza, tu sei la nostra vita eterna,
- o Signore grande e mirabile,
- Dio onnipotente,
- misericordioso salvatore * Lodi per Frate Leone, in Edizioni Francescane 1981 (2é éd.), San Francesco d’Assisi – Documenti, Th. Desbonnets, D. Voreux, p. 152..
Francesco alzo’ la penna e si fermo’. Avrebbe potuto continuare a scrivere cosi’ per delle ore. Era uno straripamento tranquillo del suo cuore. Non cercava di insegnare, ancora meno di dimostrare qualcosa. Cantava, semplicemente. Senza preoccuparsi di dare un qualsiasi ordine ai suoi pensieri. Era una lode improvvisata, inesauribile. Un gioco in cui ci si avvicina ad una realtà ineffabile, senza mai poterla esprimere pienamente e veramente.
Leone, silenzioso e felice, guardava Francesco. Questi si rimise a scrivere. Questa volta, redasse una benedizzione indirizzata a frate Leone. Una benedizione tutta biblica :
- « Ti benedica il Signore e ti custodisca,
- ti mostri il suo volto
- e abbia misericordia di te.
- Rivolga a te il suo volto
- E ti dia pace.
- Il Signore benedica te, fratello Leone ! * Ibid, p. 153.»
E Francesco traccio’ sul nome del fratello la lettera greca Tau, in forma di T maiuscola. Era la sua firma. Era anche il segno dei salvati, secondo il testo del profeta Ezechiele.
« Ecco - disse Francesco a Leone. – Prendi questa pergamena e conservala su di te, fino alla morte. E che venga su di te la grande dolcezza del Signore nostro Dio ! »
Leone era al colmo della gioia. Non avrebbe osato sperare tanto. Quanto a Francesco, anche la sua gioia era grande. Infatti, nel linguaggio semplice di una litania di lodi, aveva appena scritto e consegnato a Leone la memoria della sua esparienza mistica sull’Alverno. Era il suo ringraziamento a Dio per tutto cio’ che aveva ricevuto in quel luogo. Una memoria di riconoscenza.
Leone ricevette questo scritto come tale. Annoterà più tardi sulla pergamena: « Al fine di onorare la Beata Maria, madre di Dio e San Michele Arcangelo, il beato Francesco, due anni prima della sua morte, fece quaranta giorni di devozione sull’Alverno, dal giorno dell’Assunzione della Vergine Maria fino alla festa di San Michele in settembre. Ed il Signore stese la mano su di lui: dopo aver visto e sentito il Serafino, dopo aver ricevuto le stigmate di Cristo nel suo corpo, compose le Lodi che sono al verso di questo foglio e le scrisse di propria mano per rendere grazie al Signore del grande beneficio che gli era stato accordato * Ibid, p. 152.. »
La gioia divina di esistere
Quando l’indomani mattina Leone ritorno’ da Francesco, il suo volto brillava come il sole. Racconto’ come il turbamento di cui aveva crudelmente sofferto fosse completamente sparito alla lettura di questo scritto. La pace era ritornata nella sua anima, con la grande dolcezza di Dio. Allora Francesco gli disse : « Queste righe che ho scritto e che ti ho affidato, non sono per niente delle formule magiche ; tuttavia, racchiudono un grande segreto. » « Quale segreto ? » chiese Leone incuriosito. « Sono delle parole di lode e di adorazione – disse Francesco. – E colui che le fa sue e che si apre allo spirito di lode e di adorazione, vive un’esperienza di meraviglia che lo libera da se stesso. Cessa di impazientirsi sul proprio destino, di guardare a se stesso. Non si chiede più a che punto è nella sua vita di unione con Dio. Affascinato dalla realtà meravigliosa di Dio, vive più in Colui che contempla che in se stesso. Il suo essere non è più null’altro che uno sguardo meravigliato. Poco importa, allora, come va con Dio ! Non si pone più alcuna domanda : Dio è, questo basta. Senza neppure accorgersene, entra nella gioia di Dio, viene a conoscere la grande gioia divina di esistere. »
Ritornare ad essere come un bambino
Alla fede nella Parola, di cui abbiamo parlato precedentemente, vediamo che biogna aggiungere la grazia dello stupore. E’ possibile vivere un’autentica esperienza mistica senza estasi, ma non senza meraviglia. D’altra parte, l’estasi è forse, semplicemente, un altro nome per definire questo stato di meraviglia. Ogni esperienza mistica, ogni vita di unione a Dio, un minimo più profonda, è un’esperienza che suscita meraviglia : un’esperienza di un Dio meraviglioso nel momento in cui si comunica all’uomo. Gesù diceva che per entrare nel Regno di Dio bisogna farsi come bambini (Mc 10 15). Noi siamo invitati dalla Parola stessa a ritrovare, nella maturità dell’età, la meraviglia del bambino : gli occhi estasiati del bambino davanti al miracolo della vita che si rivela nella sua pienezza. «Noi abbiamo contemplato la sua gloria » (Jn 1 14). Solo contemplando con meraviglia il dono di Dio possiamo strapparci a noi stessi, dilatare il nostro cuore e imparare ad amare come Dio ama. « Se tu conoscessi il dono di Dio… » dice Gesù alla Samaritana. Si, se tu sapessi, il tuo cuore si infiammerebbe, il tuo cuore sarebbe il Roveto ardente.
« ... Meravigliati da te, o Padre, noi abbiamo per sola offerta il dono del tuo amore * La liturgia delle ore, CFC.. » Lo stato di meraviglia, di stupore genera la celebrazione, e la celmebrazione, la festa : « E’ bello cantare al nostro Dio ; dolce è lodarlo» (Ps 147 1). Ascoltiamo l’invito da parte della Parola : « Svegliatevi, arpa e cetra, voglio svegliare l’aurora !» (Ps 57 [56] 9). La luce dell’aurora, l’alba nell’anima, tale è la comunicazione di Dio per colui che crede nella sua parola.
Si dice che il Poverello di Assisi abbia inventato il Presepe di Natale. In ogni modo, ha certamente contribuito ad espanderne la pratica. Ma la cosa più importante è di avere visto e di aver fatto vedere in un altra maniera l’avvenimento della Natività : con un cuore di povero e degli occhi da bambino. «Io voglio vedere – con i miei occhi di carne, il Bambino come era, sdraiato in una mangiatoia mentre dorme nel fieno tra un bue e un asino…» Era un’idea nuova e ingenua, ma anche un’idea meravigliosa e geniale, come solo i poeti possono averne : vedere e far vedere, con degli occhi da bambino, Dio nel suo « avvenimento di dolcezza ». Niente era più importante per l’avvenire del mondo. In una società di mercanti, dominata dalla passione per il denaro, bisognava dare da contemplare la gratuità di Dio. In un mondo in cui il clero sognava la teocrazia, era urgente ritrovare l’umiltà di Dio. In un tempo di crociate e di guerre, per cosi’ dire, sante, cosa c’è di più necessario che di far vedere la tenerezza di Dio ? E mentre la cristianità innalzava nel cielo, sempre più in alto, le torri e le cuspidi delle sue cattedrali, come un Te Deum fiammeggiante, Francesco d’Assisi ed i suoi primi compagni contemplavano, nell’ombra di una stalla, Dio che veniva al mondo nella fragilità di un neonato ; ritrovavano la sorgente meravigliosa. Aprendosi a questa comunicazione divina, divenivano cio’ che contemplavano. E nella gioia creatrice, rendevano a Dio il mondo e l’uomo e Dio !
PREGHIERA E LITURGIA
Articolo 8.
Gesù é stato il vero adoratore del Padre : secondo il suo esempio, faranno della preghiera e della contemplazione l’anima della loro vita e del loro agire * Vaticano II, Decreto sull’apostolato dei laici 4 abc : Essendo il Cristo inviato dal Padre la fonte e l’origine di tutto l’apostolato della Chiesa, è evidente che la fecondità dell’apostolato dei laici dipende dalla loro unione vitale con Cristo, secondo la parola del Signore : « Chi rimane in Me ed io in lui, questi porta molto frutto ; perchè senza di me non potete far nulla » (Jn 15 5). Questa vita di intima unione con Cristo nella Chiesa è alimentata da degli alimenti spirituali comuni a tutti i fedeli, in particolare attraverso la partecipazione attiva alla santa Liturgia. I laici devono impiegarli in modo che, compiendo perfettamente le obbligazioni del mondo nelle condizioni ordinarie dell’esistenza, non separino l’unione a Cristo e la loro vita, ma crescano in quest’unione compiendo i loro lavori secondo la volontà di Dio. .
Per rivirere in se stessi i misteri della vita di Cristo, che partecipino alla vita sacramentale della Chiesa, soprattutto all’Eucarestia ; allo stesso modo, si associeranno alla preghiera liturgica, in una delle forme che la Chiesa propone.
Il primo commento che segue cercherà di dimostrarci in che modo Gesù è stato il vero adoratore del Padre. Ma che cosa vuol dire adorare ? I primi due comandamenti del decalogo ci aiuteranno a rispondere a questa domanda. I riferimenti evangelici che ti sono presentati alla fine di questo capitolo testimoniano il fatto che si vede molto frequentemente Gesù che prega durante tutto il tempo della sua missione sulla terra. La nostra regola ci invita a fare della prghiera e della contemplazione l’anima della nostra vita e del nostro agire, seguendo l’esempio di Gesù ; di conseguenza, i commenti che seguono cercheranno di dare una risposta alle domande seguenti : che cos’è la preghiera ? Quali sono le diverse maggiori espressioni della preghiera ? E infine, come pregare e quando pregare ? Certamente, per rivivere in se stessi i misteri della vita di Cristo, la prima cosa importante da fare è di conoscerli. Noi proseguiremo ricordando alcuni misteri della vita terrestre di Cristo e sottolineeremo in che cosa la loro assimilazione ci conduca al mistero della sua filiazione divina e della sua missione redentrice. Infine, siccome il discorso sul pane di vita ci ha di già mostrato e definito che cosa fosse l’Eucarestia, orienteremo ora i commenti seguenti sull’aspetto liturgico dell’Eucarestia. L’alleanza conclusa con Abramo e l’alleanza del Sinai ci aiuteranno a capire la liturgia.
Sia fatta la tua volontà, come in cielo, cosi’ in terra
Saul era allora il re di Israele. Il Signore gli aveva espresso la Sua volontà : punire gli Amaleciti e rendere anatema tutto cio’ che possedevano, ossia, non conservare nulla, ma passare tutto al filo della spada, tutti gli esseri viventi fino al bestiame. Ora, Saul apporto’ il meglio del piccolo e del grosso bestiame, per offrirlo in sacrificio al Signore. L’intenzione era buona, anche se non corrispondeva esattamente alla volontà divina. Il Signore gli fece pervenire dei rimproveri attraverso il profeta Samuele : « Perché non hai obbedito al Signore ? Perchè ti sei gettato sul bottino e hai fatto quello che dispiace al Signore ? » (1 S 15 19). Il Signore, in effetti, aveva chiesto a Saul di non apportare nulla ; Saul, per piacere a Dio, non avrebbe dovuto prendere nulla, anche se destinava il bottino (o una parte di esso) ad una offerta per il Signore. Samuele non condanna il culto sacrificale in generale. Ma è l’obbedienza interiore che piace a Dio, non solo il rito esteriore. Compiere questo contro la volontà di Dio significa rendere omaggio ad un’altra cosa, ma non a Dio, significa, quindi, cadere nell’idolatria.
Gesù, che fu il vero adoratore del Padre, ci dice : « Non colui che dice – Signore, Signore – sarà salvato, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli ». Noi troviamo, disseminata nei Vangeli, quest’idea che ritorna come un richiamo costante del Verbo di Dio : « Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e portare a compimento l’opera sua » (Jn 4 34). ; « ... e il mio giudizio è giusto perchè non cerco il volere mio, ma il volere di colui che mi ha mandato » (Jn 5 30) ; « Or, la volontà di colui che mi ha mandato è questa : che io non perda niente di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Poichè la volontà del Padre mio è che chiunque conosce il Figlio e crede in lui, abbia la vita eterna : ed io lo risuscitero’ nell’ultimo giorno.» (Jn 6 39-40). « Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice ; tuttavia, non quello che io voglio, ma quello che vuoi tu » (Mt 26 39). Cosi’ quando un fariseo chiede a Gesù per tentarlo : « Maestro, qual’è il più grande comandamento della Legge ? », Gesu’ risponde con le parole stesse di Dio, ricordando in tal modo la volontà del Padre :
Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua, con tutta la tua mente
Gesù ha riassunto i doveri dell’uomo verso Dio con queste parole : « Tu amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua, con tutta la tua mente * Mt 22 37 et Lc 10 27 : « ...tutte le tue forze».. » Queste fanno immediatamente eco all’appello solenne : « Ascolta Israele : il Signore, Iddio nostro, è l’unico Dio » (Dt 6 4). Dio ha amato per primo. L’amore dell’Unico Dio è ricordato nella prima delle « dieci parole ». I comandamenti esplicitano in seguito la risposta d’amore che l’uomo è chiamato a dare al suo Dio. * CEC 2083.
Adorare Dio è riconoscerlo come Dio, come il Creatore ed il Salvatore, il Maestro ed il Signore di tutto cio’ che esiste. E’ riconoscerlo come Amore infinito e misericordioso. « Adorerai il Signore dio tuo e servirai a lui solo » (Lc 4 8) dice Gesù citando il Deuteronomio (Dt 6 13). Adorare Dio significa, nel rispetto e nella sottomissione assoluta, riconoscere il niente della creatura, che non esiste se non in Dio. Adorare Dio significa, come Maria nel Magnificat, lodarLo, esaltarLo e umliliare se stessi, confessando con gratitudine che Egli ha fatto grandi cose e che il suo nome è santo (Lc 1 46-49). L’adorazione dell’unico Dio libera l’uomo dal ripiegamento su se stesso, dalla schiavitu’ del peccato e dall’idolatria del mondo. * CEC 2096-2097.
Non pronunciare invano il mio Nome
L’uomo pronuncia invano il nome del Signore soltanto quando bestemmia ? No, purtroppo, non solo in quel caso. Un figlio puo’ dire – amo mio padre e lo onoro -, se in seguito si oppone a tutto cio’ che suo padre desidera ? Non basta dire – padre, padre – per amarlo realmente. Allo stesso modo, la preghiera di fede non consiste soltanto nel dire – Signore, Signore - , ma nell’accordare il cuore a fare la volontà del Padre (Mt 7 21). Questa parola del Vangelo vorrebbe forse dire che, a parte i bambini piccoli, nessuno puo’ più nominare Dio ? No, questo nome deve essere pronunciato dai peccatori e da tutti coloro che si sentono strozzati da Satana, ossia da tutti coloro che vogliono liberarsi dal peccato e dal Seduttore. Coloro che vogliono. Ecco cio’ che cambia il sacrilegio in rito : voler guarire. Chiamare l’Onnipotente per essere perdonato ed essere guarito. Invocarlo per mettere in fuga il Seduttore. All’ora della tentazione, Eva non ha chiamato il Signore perchè l’aiutasse nel momento della prova. Ma se Eva avesse invocato Dio nel momento della tentazione, satana sarebbe stato messo in fuga, poichè Dio e Satana non possono coabitare in uno stesso luogo, in uno stesso cuore. Dobbiamo avere sempre questo pensiero e invocare il Signore con sincerità. Questo nome è salvezza. Purifichiamo incessantemente il nostro cuore, inscrivendovi con l’amore questo Nome : Dio. Nessuna preghiera bugiarda. Nessuna pratica abitudinaria. Ma col proprio cuore, col proprio pensiero, con le proprie azioni, con tutto se stesso, dire questo Nome: Dio. Diciamolo per non essere soli. Diciamolo per essere sostenuti. Diciamolo per essere perdonati. Comprendiamo bene il senso della parola di Dio al Sinai : si pronuncia il nome di Dio « In vano » se lo si pronuncia senza fare il bene. Questo è peccato. Ma non è « in vano » quando il battito del proprio cuore, in ogni minuto della giornata, in tutte le sue azioni oneste, quando il bisogno, la tentazione e la sofferenza ci portano alle labbra la filiale parola d’amore : « Vieni, mio Dio ! ». Allora, in verità, non si pecca pronunciando il santo Nome di Dio. * Il testo che segue è composto di estratti da Centro Editoriale Valtortiano, Isola del Liri, Italia, L’Evangile tel qu’il m’a été révélé, Maria Valtorta, Tomo 2, cap. 88, p. 508.
La preghiera è la conversazione del cuore con Dio
La preghiera dovrebbe essere lo stato abituale dell’uomo. Quando vogliamo parlare al Signore, entriamo nella pace della nostra dimora interiore e parliamo al Re degli angeli. Parliamo a nostro Padre nel segreto del nostro cuore e della nostra dimora interiore. Lasciamo al di fuori tutto cio’ che appartiene al mondo: la mania di farsi notare; quella di edificare; gli scrupoli delle lunghe preghiere piene di parole, di parole, di parole, monotone, tiepide e senza amore. Per l’amor di Dio! Sbarazziamoci delle misure nella preghiera. Non spendiamo ore ed ore in un monologo ripetuto soltanto dalle labbra. Questo è un vero soliloquio, che nemmeno l’angelo custode ascolta, tanto è un rumore vano a cui cerca di rimediare gettandosi in un’ardente orazione per il poveretto che deve custodire. In verità, esistono delle persone che non impiegherebbero queste ore in altro modo, nemmeno se Dio in persona apparisse loro dicendo: «La salvezza del mondo esige che voi abbandoniate questo chiacchierio senz’anima per andare in tutta semplicità ad attingere dell’acqua ad un pozzo e bagnare la terra per amor Mio e per i vostri simili ». In verità, non crediamo che un monologo sia più importante che l’accoglienza cortese di un visitatore o il soccorso caritativo apportato a chi ha bisogno. Praticare in tal modo significa ricadere nell’idolatria della preghiera. La preghiera è un atto di amore. Si puo’ amare sia lavando i piatti che pregando, sia assistendo un infermo che meditando. Basta impregnare d’amore tutto il proprio essere e tutta la propria attività. Non dobbiamo avere paura ! Il Padre vede. Il Padre comprende. Il Padre ascolta. Il Padre accorda cio’ che è necessario. Quante grazie accorda per un solo sospiro di amore, vero, perfetto ! Quale abbondanza di grazie per un sacrificio intimo fatto con amore ! * Il testo che segue è composto di estratti da Centro Editoriale Valtortiano, Isola del Liri, Italia, L’Evangile tel qu’il m’a été révélé, Maria Valtorta, Tomo 3, cap. 32, p. 172.
Prendere il tempo di essere per il Signore
La tradizione cristiana ha fissato tre espressioni maggiori della vita di preghiera : la preghiera vocale, la meditazione e l’orazione. Un tratto fondamentale le accomuna : il raccoglimento del cuore. Questa vigilanza nel custodire la Parola e nel dimorare alla presenza di Dio fa di queste tre espressioni dei tempi forti della vita di preghiera. * CEC 2699.
La preghiera più santa è quella che ci ha insegnato Gesù stesso : il Padre nostro. Ah ! Se sapessimo dire questa preghiera gustando ogni frase, associando il nostro pensiero e il nostro cuore ad ogni parola, quanto trasformerebbe la nostra vita !
La meditazione mette in opera il pensiero, l’immaginazione, l’emozione ed il desiderio. Questa mobilizzazione è necessaria per approfondire le convinzioni della fede, suscitare la conversione del cuore e fortificare la volontà di seguire Cristo. La preghiera cristiana si applica di preferenza a meditare « i misteri di Cristo », come nella lectio divina o nel Rosario. Ma la preghiera cristiana deve tendere più lontano : alla conoscenza d’amore del Signore Gesù, all’unione intima con Lui. * CEC 2708.
Nella gioia come nel dolore, nella pace come nella lotta, il nostro spirito ha bisogno di immergersi interamente nell’oceano della contemplazione per ricostruire quanto il mondo e le vicissitudini della vita hanno abbattuto. Bisogna usare la preghiera vocale, ma senza abusarne. Non che essa sia inutile o mal vista da Dio. Ma molto più utile allo spirito è l’elevazione mentale verso Dio, la meditazione. Contempliamo la sua divina perfezione. Riconosciamo la nostra miseria. Ringraziamo il Signore che ci ha sostenuti per impedirci di peccare. Ringraziamolo perchè ci perdona e non ci lascia a terra. In una parola, arriviamo a pregare realmente, ossia ad amare. Poichè l’orazione, per essere realmente cio’ che deve essere, deve essere amore. * Il sovrano Pontefice Giovanni Paolo II diceva : « Una pausa di autentica adorazione ha più grande valore e produce più frutti spirituali che l’attività più intensa, anche se si tratta di un’attività apostolica. Questa è la contestazione più urgente che i religiosi devono opporre ad una società in cui l’efficienza è divenuta un idolo sul cui altare non è raro che uno sacrifichi la propria dignità umana. »
La scelta del tempo e della durata dell’orazione rileva di una volontà determinata, rivelatrice dei segreti del cuore. Non si fa orazione quando si ha tempo : si prende il tempo di essere per il Signore, con la ferma determinazione di non interrompere, indipendentemente dalle prove e dall’eventuale aridità dell’incontro. Non si puo’ sempre meditare, ma si puo’ sempre entrare in orazione, indipendentemente dalle condizioni di salute, di lavoro o di affettività. * CEC 2710. La contemplazione è sguardo di fede fissato su Gesù. « Io lo guardo e lui mi guarda », diceva al tempo del suo santo curato il contadino di Ars in preghiera davanti al tabernacolo. Questa attenzione a Lui è una rinuncia a « me ». Il suo sguardo purifica il cuore. La luce dello sguardo di Gesù illumina gli occhi del nostro cuore ; ci insegna a vedere ogni cosa alla luce della sua verità e della sua compassione per tutti gli uomini. La contemplazione porta anche il suo sguardo sui misteri della vita di Cristo. Ci insegna in tal modo « la conoscenza interiore del Signore » per amarLo e seguirLo sempre di più. * CEC 2715. Ma come pregare e, in una vita spesso trepidante, quando pregare ?
« Di concederci, liberati dalle mani dei nemici, di servirlo senza timore, in santità e giustizia, al suo cospetto, per tutti i nostri giorni »
Unione con Dio significa avere il Signore presente in ogni momento per lodarlo e per invocarlo. Se lo facciamo, allora progrediremo nel cammino spirituale. Dio ci dona ogni giornata, tutta intera, nella sua parte luminosa comme nella sua parte buia : il giorno e la notte. Vivere ed avere la luce è un dono. E la maniera in cui uno vive è una sorta di santificazione. Cosi’, bisogna santificare i momenti dell’intera giornata, per mantenersi nella santità, avere sempre presente nel nostro cuore l’Altissimo e la sua bontà e, nello stesso tempo, tenere lontano il demonio. Ossserviamo gli uccelli : al primo raggio di sole cantano e benedicono la luce. Anche noi dobbiamo benedire la luce, che è un dono di Dio. Dobbiamo benedire Dio che ci dona la luce e che è Luce. Dobbiamo desiderarlo fin dai primi albori del mattino, come per mettere un sigillo di luce, una nota di luce su tutto il giorno che avanza, perchè sia interamente luminoso e santo, ed unirci a tutta la creazione per cantare « Osanna » al Creatore. Poi, quando le ore passano, e man mano che passano, ci portano la constatazione di quanto dolore ed ignoranza ci sia nel mondo : pregare ancora affinché il dolore sia lenito e che l’ignoranza sparisca, e che Dio sia conosciuto, amato, pregato da tutti gli uomini che, se conoscessero Dio, sarebbero sempre consolati, anche nelle loro sofferenze. All’ora sesta, pregare per l’amore della famiglia, gustare questo dono di essere uniti con coloro che ci amano. Anche questo è un dono di Dio. E pregare affinché il cibo non perda il suo carattere di utilità per assumere quello di occasione di peccato. All’ora nona, pregare affinché, attraverso il sacrificio di quest’ora, venga il Regno di Dio nel mondo e che siano riscattati tutti coloro che credono nel suo Verbo. Al crepuscolo, pregare pensando che la morte è il crepuscolo che ci attende tutti. Pregare perchè il crepuscolo della nostra giornata o della nostra vita trovi sempre la nostra anima in stato di grazia. E quando le lampade si accendono, pregare per ringraziare Dio del giorno che volge al termine e per domandare la sua protezione ed il suo perdono, per potersi abbandonare al sonno senza temere il giudizio imprevisto e gli assalti del demonio. Pregare infine durante la notte per far fronte ai peccati delle notti, per allontanare satana dai deboli, perchè i colpevoli trovino la contrizione e le buone riflessioni che diventeranno realtà al sorgere del giorno. * Il testo che segue è composto di estratti da Centro Editoriale Valtortiano, Isola del Liri, Italia, L’Evangile tel qu’il m’a été révélé, Maria Valtorta, Tomo 4, cap. 155, p. 457. Ecco come e perchè prega un giusto durante tutta la sua giornata. * A titolo annedottico, quando il Sovrano Pontefice Giovanni Paolo II si trovava in viaggio in Ungheria (nell’Agosto 1991) aggiunse qualche parola alla risposta che diede ad un ulteriore saluto del Presidente, di cui diamo qui una traduzione : « Lei ha toccato, signor Presidente, il punto più importante per il Papa. Il dovere e l’attività principale del Papa non è predicare, bensi’ pregare. Tutto dovrebbe essere basato sulla preghiera. La mia visita in Ungheria e i miei rapporti quotidiani con questo Paese sono ugualmente fondati sulla preghiera. »
Per rivivere in se stessi i misteri della vita di Cristo
Attraverso i gesti di Cristo, i suoi miracoli, le sue parole, è stato rivelato che « in Lui abita corporarlmente tutta la pienezza della divinità » (Col 2 9). La sua umanità appare in tal modo come il « sacramento », ossia il segno e lo strumento della sua divinità e della salvezza che Egli apporta : quanto c’è di visibile nella sua vita terrestre conduce al mistero * Esistono due diverse concezioni di mistero : la concezione ellenistica e la concezione paolina. I Padri della Chiesa riuniranno queste due concezioni : 1. Dal greco mysterion : cio’ per cui o a cui uno è iniziato (mystes). Il termine greco designa originariamente i riti più o meno segreti attraverso i quali uno era iniziato ad una religione, ed a mezzo dei quali uno entrava in relazione con la divinità. 2. La nozione biblica di « mistero » sembra indipendente dalla nozione greca. Il « Mistero » è il segreto del disegno divino di salvezza ; concepito dalla Sapienza divina di tutta eternità, si sviluppa nella storia della salvezza e si realizza in maniera centrale nel sacrificio di Cristo, questo « Mistero pasquale » che condensa tutto il « Mistero ». Gli Apostoli hanno ricevuto la missione di rivelare tutta la portata del Mistero di Cristo. invisibile della sua filiazione divina e della sua missione redentrice * CEC 515 (estratto).. Cristo non ha vissuto la sua vita per Se stesso, ma per noi. Questo a partire dalla sua incarnazione « per noi uomini e per la nostra salvezza », fino alla sua morte « per i nostri peccati » (1 Co 15 3) e alla sua resurrerzione « per la nostra giustificazione » (Rm 4 25). Ancora adesso, Egli è nostro avvocato presso il Padre, « essendo sempre vivo per intercedere in nostro favore » (He 7 25). In tutta la sua vita, Gesù si mostra come nostro modello: attraverso il suo abbassamento ci ha dato un esempio da imitare ; attraverso la sua preghiera, attira alla preghiera ; attraverso la sua povertà, invita ad accettare liberamente l’indigenza e le persecuzioni. Noi siamo chiamati a fare una cosa sola con Lui * CEC 519 a 521 (estratti).. Inoltre, dobbiamo leggere, meditare e vivere i misteri della vita di Cristo :
- Pastore o Re (come i Re Magi), si puo’ raggiungere Dio qui sulla terra soltanto inginocchiandosi davanti alla grotta di Betlemme ed adorandolo nascosto nella debolezza di un bimbo ;
- Attraverso la sua sottomissione a Maria e a Giuseppe, e attraverso il suo umile lavoro svolto per lunghi anni a Nazareth, Gesù ci dona l’esempio della santità nella vita quotidiana della famiglia e del lavoro ;
- Dall’inizio della sua vita pubblica al suo Battesimo, Gesù è il « Servitore », interamente consacrato all’opera redentrice che si compirà attraverso il « Battesimo » della sua passione ;
- La tentazione nel deserto mostra Gesù, Messia umile che trionfa su Satana attraverso la sua totale adesione al disegno di salvezza voluto dal Padre ;
- Il Regno dei Cieli è stato innaugurato sulla terra da Cristo. « Brilla agli occhi degli uomini nella parola, le opere e la presenza di Cristo. » La Chiesa è il germe e l’inizio di questo Regno. Le sue chiavi sono affidate a Pietro ;
- La Trasfigurazione di Cristo ha per scopo di fortificare la fede degli apostoli in vista della Passione : l’ascesa sull’ « alta montagna » prepara l’ascesa al Calvario. Cristo, Testa della Chiesa, manifesta cio’ che il suo Corpo contiene e risplende nei sacramenti : « la speranza della Gloria » (Col 1 27) ;
- Gesù è salito volontariamente a Gerusalemme pur sapendo che vi sarebbe morto di morte violenta a causa della contraddizione dei peccatori ;
- L’ingresso di Gesù a Gerusalemme manifesta la venuta del Regno che il Re Messia, accolto nella sua città dai bambini e dagli umili di cuore, compie attraverso la Pasqua della sua Morte e della sua Resurrezione. * CEC 563 a 569.
L’Alleanza con Abramo
« Lascia il tuo paese, il tuo parentado, la casa di tuo padre * Non ci si puo’ impedire di trasporre la frase in cio’ che essa implica per l’essere stesso : « Lascia il tuo paese, il tuo parentado e la casa di tuo padre » non ha altro effetto immediato che di lasciare tutto cio’ che rappresenta il proprio « io ». Lascia il tuo « io », ci grida il testo, « per la terra che io ti mostrero’ », ossia, per incontrarMi, Me, il tuo Creatore, il tuo Salvatorer ed il tuo Redentore, ed Io ti rendero’ partecipe della Mia Vita divina. Più tardi, il Signore ci preciserà : « Chiunque di voi non rinuncia a quanto possiede, non puo’ essere mio discepolo ». Lc 14 33. e va nella terra che io ti mostrero’. Io faro’ di te un popolo grande, ti benediro’, rendero’ glorioso il tuo nome e tu sarai una benedizione » (Gn 12 1-2). Il racconto della vocazione di Abramo è succinto. Indica l’iniziativa del Signore che invita il suo interlocutore a lasciare tutto per obbedire alla sua voce. Se guardiamo da vicino i termini utilizzati, non ci si puo’ impedire di accostarlo alla fine del racconto della creazione nel libro della Genesi : « Per questo l’uomo lascia suo padre e sua madre e si unisce alla sua donna e diventano una sola carne ». La relazione tra il Signore ed Abramo è di una natura tanto potente quanto la relazione tra due sposi. Abramo non discute ; lungi dal respingere le misteriose proposte di Colui che si rivolge a lui, obbedisce, ossia ascolta ed agisce : « Abramo parti’, come gli aveva detto il Signore, e Lot ando’ con lui. Abramo aveva 75 anni quando lascio’ Haran » (Gn 12 4). Fin dal principio, il Signore gli aveva fatto una promessa, quella di farlo diventare un grande popolo : subito, l’Alleanza sembra interessare non un singolo individuo, ma tutto un popolo. Tuttavia gli anni passano, durante i quali si susseguono numerosi avvenimenti, senza che, tuttavia, si realizzi la promessa. Cosi’, dopo il curioso passaggio riguardo Melchisedec, sacerdote del Dio Altissimo, e la sua offerta di pane e di vino (Gn 14 18), Abramo riceve da Dio in una visione la certezza di una ricompensa : « Non temere, Abramo, Io sono il tuo scudo ! La tua ricompensa sarà assai grande ». Ma là, Abramo, per la prima volta, esprime un’inquietudine al Signore : « Signore Iddio, che cosa mi darai tu ? Io me ne sto per morire senza prole e l’erede della mia casa sarà un mio servo » Il Signore ripete allora la promessa di una grande discendenza per Abramo, ma con la precisione formale che gli sarà data a partire di un discendente del suo sangue : « No, non sarà lui il tuo erede, ma anzi, uno che uscirà dalle tue viscere, egli sarà il tuo erede (…) Guarda il cielo e conta le stelle, se ti riesce (…). Cosi’ sarà la tua progenie » (Gn 15 4-6). Questa volta Abramo sollecita una garanzia. E il Signore gli risponde attraverso il rito dell’alleanza che consiste, per coloro che contrattano, nel passare tra i quarti degli animali sezionati in due.
Si chiamava in tal modo su di se la sorte di questi animali se uno era infedele al suo impegno. Questo rito si esprime in ebraico con la formula « tagliare alleanza ». « Quando il sole fu tramontato si fece un gran buio, ed ecco un fornello fumante ed una colonna di fuoco passare in mezzo alle parti di quegli animali » (Gn 15 17). Sotto il simbolo del fuoco * Simbolo del fuoco che ritroviamo nei passaggi del roveto ardente (Ex 3 2) ; la colonna di fuoco (Ex 13 21) ; il Sinai fumante (Ex 19 18)., è il Signore che passa, e passa da solo, poichè la sua alleanza è un patto unilaterale, un’iniziativa divina. Un altro racconto dell’alleanza tra Abramo e il Signore (Gn 17) introduce due precisazioni importanti : il cambiamento di nome da Abramo in Abrahamo e la circoncisione. Questi due cambiamenti devono essere compresi come i marchi intimi dell’impresa del Signore sul suo collaboratore. L’Alleanza è innanzitutto l’atto di Dio che agisce nel suo alleato ; è anche, necessariamente, l’atto dell’alleato che acconsente all’atto di Dio, che lascia fare e si lascia condurre. L’Alleanza è feconda, tanto più che implica la promessa di una posterità : Dio opera egli stesso, là dove il corso naturale delle cose sembra chiuso. Sotto la quarcia di Mambré, i tre viaggiatori, in cui la tradizione ha visto l’evocazione della Tinità, ricevono l’ospitalità magnanima di Abramo. Il pasto, in un certo qual modo, è un pasto di alleanza con la Trinità ed al suo termine, e malgrado il riso di Sara * Il testo ci precisa in effetti : « Abramo e sara erano vecchi, molto inoltrati negli anni, e a Sara erano cessati i corsi come sogliono avere le donne » Gn 18 11. Lo stato avanzato dell’età è dato pure nel capitolo precedente : « Potrebbe forse nascere un figlio ad un uomo di cento anni ? E Sara, a novant’anni, potrà ancora aver prole? » Gn 17 17., moglie di Abramo, la profezia del visitatore si realizzerà : « Tornero’ da te fra un anno, di questo tempo, e Sara avrà un figlio ». Dio rende Abramo fecondo donandogli il figlio della promessa : Isacco, frutto dell’amore gratuito del Signore e della fede di Abramo. * Queste righe (e quelle che seguono) sono estratte da Editions C.L.D. 1981, La liturgie dans l’ancienne Alliance, Dom Robert Le Gall, Introduzione e cap. 3 e 4.
Rendere ogni bene al Signore
Ma Dio richiede ad Abramo il suo unico figlio, il suo carissimo Isacco : « Prendi tuo figlio, l’unico che hai e che tanto ami, Isacco, e va nel territorio di Moria * 2 Ch 3 1 identifica Miora con la collina su cui verrà elevato il Tempio di Gerusalemme. La tradizione posteriore ha accettato questa localizzazione. e li’ offrilo in olocausto sopra un monte che io ti mostrero’» (Gn 22 2). Isacco appare allora come la pietra di paragone dell’Alleanza, nei due sensi : senso discendente, dal Signore ad Abramo (Dio che dona un figlio ad Abramo) e senso ascendente, da Abramo al Signore (Abramo che offre suo figlio al Signore). Era necessario che Dio avesse fiducia in colui che le tradizioni ebraica, cristiana e musulmana hanno qualificato con il nome di « Amico di Dio », per domandargli una tale prova : sacrificare il suo unico figlio, dono di Dio, e purtanto condizione necessaria della realizzazione della promessa. Abramo sa cosa significa l’espressione « far salire » suo figlio : si tratta di un olocausto, che fa « passare » e « salire » la vittima presso Dio. Quale strazio deve essere stato per Abramo preparare tutto il necessario per il sacrificio, camminare tre giorni per recarsi nel luogo stabilito e là presentare la sua offerta : « Giunti sul luogo che Dio gli aveva indicato, Abramo vi costrui’ un altare e accomodo’ la legna ; lego’ poi Isacco suo figlio, e lo mise sull’altare sopra la legna. Stese quindi la mano e prese il coltello per scannare suo figlio » (Gn 22 9). Il senso di questo avvenimento è decisivo. L’Alleanza ha stretto il patto di unione tra il Signore ed Abramo per quest’opera comune, voluta da Dio, che è la fecondità del Patriarca. Perchè una tale Alleanza sia solida, ci vuole una fede reciproca, totale, che unisca coloro che ne fanno parte e resista alla prova di tutto cio’ che puo’ succedere. Abramo, che ha ricevuto tutto dal suo Amico divino – elezione, promessa, figlio – è sicuro di Dio. Per questo non esita ad offrirgli, nonostante il dolore che gli impone questo sacrificio, il suo unico figlio, l’unica possibilità che ha di veder compiersi la promessa. Dio che dona e si dona, attende che il suo interlociutore faccia lo stesso * Beato il servo che fa omaggio di ogni bene al Signore. Al contrario, colui che rivendica una parte per se stesso, nasconde in se stesso il denaro del Signore Dio, e cio’ che credeva di possedere come proprio gli sarà tolto. Adm. 19. ; in tal modo, i beni che procura l’Alleanza sono secondi rispetto all’Alleanza stessa, che congiunge l’uomo a Dio. Abramo accetta che né la missione di cui Dio lo ha investito, né il suo sogno, che era tutta la sua vita in cio’ che essa aveva di più elevato, non si interponessero più tra Dio e lui stesso. Dare un figlio unico è dare più che se stesso : è arrivare all’estremo del dono. Dio, nella liturgia, ci chiede, in effetti, di arrivare a quel punto. Rifiuterà l’immolazione di Isacco, ma vuole che sia offerto cio’ che è unico. Dio non vuole il sangue dei bambini, ma non puo’ rinunciare alla totalità del nostro dono. Dio dona tutto, e tutto deve essere reso a Dio. L’offerta del figlio della promessa, da cui dipende tutta la posterità, fa tutta la grandezza del sacrificio di Abramo.
Gli altari segnano l’itinerario di Abramo : a Sichem, alla quercia di Moré (Gn 12 6-7) dove il Signore gli apparve ; a Bethel (Gn 12 8 ; 13 3-4), dove invoca il nome del Signore; a Ebron, alla quercia di Mambré (Gn 13 18) dove erige un altare. L’altare rappresenta un memoriale dell’incontro con Dio, ed è nello stesso tempo ricordo del passato e pegno della promessa a venire. Per il patriarca, la liturgia consiste nel reattualizzare, nei siti dell’incontro divino, l’Alleanza. Là Dio gli è apparso, là invoca il suo nome. Il sacrificio di Isacco è l’atto più completo, il più grande della « liturgia » che unisce i due alleati. In tal modo, fin dall’inizio della storia della salvezza, il principio essenziale della liturgia sembra disegnato : l’incontro tra Dio e l’uomo, per suggellare o riattualizzare la loro Alleanza.
Quando tu farai uscire il popolo dall’Egitto, voi servirete Dio
Ad Abramo dona Isacco. Ed a Isacco dona Giacobbe. Circa quattrocento anni dopo Giacobbe, la discendenza dei tre patriarchi è asservita in Egitto. Ma Dio veglia sulla sua promessa. Prepara un uomo per la missione di ricondurre il suo popolo, la sua sposa, al luogo dell’Alleanza. Noi conosciamo quest’uomo : è Mosé. Dio lo attende nel deserto. Lo chiama per nome e si rivela a lui dal roveto ardente : « Mosè, Mosè !… Io sono il Dio di tuo Padre, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe… Ho visto, ho visto la miseria del mio popolo che risiede in Egitto. Ho ascoltato le grida che gli strappano i sorveglianti… Sono deciso a liberarlo dalle mani degli egiziani e a farlo salire da questo paese verso una terra alberata e vasta, verso una terra dove scorrono latte e miele ». Il Dio della promessa ha visto la miseria di questa gente che chiama suo popolo e « discende » per liberarlo per mezzo di Mosé. Sul monte Sinai, il segno che il Signore dona a Mosé per garantire la verità della sua missione non sarà altro che una controprova, poichè non è altro che la realizzazione stessa della salvezza di Israele, ma sotto l’aspetto di una liturgia : « Io saro’ con te, e questa sarà la prova che son io che ti mando : quando tu avrai tratto il popolo dall’Egitto, voi servirete Dio su questo monte » (Ex 3 12). In effetti, la parola « servire », che noi incontriamo qui, deve essere intesa nel senso liturgico della parola. Certamente, il servizio di Dio non si limita all’opera liturgica. Tuttavia, la liturgia è un opera formalmente diretta verso Dio. Essa resta il servizio per eccellenza, poichè essa apporta, in omaggio a Dio Creatore e Salvatore, il meglio dell’attività umana. La liturgia è un servizio rispettoso della divinità. Essa non tenta in alcun modo di asservire Dio ai bisogni dell’uomo, cosa che rileverebbe della magia. E non è neppure un asservimento dell’uomo a Dio, cosa che rileverebbe della dialettica padrone – schiavo. La liturgia è quindi il servizio di Dio da parte del Popolo di Dio. Solo la Rivelazione dona al servizio di Dio la nota personale perfetta : una relazione marcata dal rispetto dell’amore, da parte del Popolo e da parte di Dio. In effetti, nel culto, il Popolo si avvicina al suo Dio per servirlo ; ma anche il Signore « discende » verso il suo popolo. Si avvicina a lui e si manifesta attraverso le sue intenzioni salvifiche.
Israele ha coscienza di essere servito dal suo Dio. Nel deserto, la colonna di fuoco e la nuvola ne erano la prova. Il Deuteronomio sottolinea questa intimità tra Dio e il suo popolo : « Quale nazione infatti, per quanto grande, ha i suoi dèi cosi’ vicini, come il Signore, Iddio nostro, è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo ? » (Dt 4 7). Quando i tempi saranno compiuti, il Servo del Signore, che è il Figlio incarnato, dichiarerà di essere venuto non per essere servito ma per servire (Mt 20 28). La liturgia è questo servizio affettuoso tra Dio e noi. Come dicevamo precedentemente, Il Signore si è rivelato a Mosè per condurre il suo Popolo a questo felice servizio. A sua volta, Mosè non dà alcun altro motivo al Faraone, salvo il servizio del Signore. La formula ritorna dopo ogni piaga inflitta a Faraone e al suo paese : « Lascia andare il mio popolo perchè mi serva nel deserto » (Ex 7 16 ; 7 26 ; 8 16 ; 9 1 ; 10 3 ; 10 7 ; 10 11 ; 10 26).
Un’ alleanza di persone
Un’alleanza è un contratto di tipo giuridico, che riunisce due partecipanti personali o personalizzati e che mira a regolare, in modo stabile, le loro relazioni, sia su un piano molto particolare, sia su tutti i piani. Si sa che un’alleanza politica o economica ha per oggetto degli interessi precisi : ha per scopo di procurare a coloro che la contrattano dei vantaggi reciproci. Il tipo più completo di alleanza è l’alleanza matrimoniale, che unisce « nella buona e nella cattiva sorte » due congiunti.
Il Dio di Israele, Creatore e Salvatore, è un essere personale che ha dei progetti e che li segue ; vuole instaurare delle relazioni con gli esseri umani, creati da lui ma diversi da lui. Viene proposta un’alleanza, nella quale il soggetto divino ed i soggetti umani restano cio’ che sono, anzi, diventano tali sempre di più. La liturgia è l’atto reciproco nel quale Dio ed il suo popolo si donano l’uno all’altro, riprendono o restaurano l’alleanza che li unisce.
L’Alleanza che Dio offre al suo popolo avrà delle incidenze politiche ed economiche : cosi’, quando il Popolo sarà minacciato da un invasore, dovrà avere fiducia in Dio e non nel soccorso di un popolo alleato (Is 7 1-9 ; 37 30-35) ; allo stesso modo, il Dio dell’Alleanza gli procurerà i beni necessari alla sua sussistenza e alla sua felicità (Dt 8 11-18 ; Os 2 10-24). Ma l’Alleanza sarà essenzialmente la mutua appartenenza di Dio e del Popolo ; per tutta la Bibbia, « la formula dell’alleanza » ripete che Dio appartiene al suo Popolo e che il Popolo appartiene al suo Dio : « Vi prendero’ per mio popolo e saro’ il vostro Dio » (Ex 6 7 ; Jr 31 33 ; Ap 21 3).
Possiamo notare che nelle alleanza umane, di tipo patrimoniale o amicale, l’iniziativa dell’incontro, poi della stabilizzazione, spesso avviene da parte di uno solo dei due partecipanti, che « fa il primo passo » : o fa nascere in tal modo la reciprocità, o le da’ l’occasione per manifestarsi. Dio, attraverso la sua iniziativa gratuita ci provoca ad un amore di risposta che è propriamente un consenso. Dal momento in cui abbiamo acconsentito all’Alleanza, la nostra vita è a Dio e la vita di Dio è a noi.
La liturgia, celebrazione dell’Alleanza
La liturgia, nella prospettiva appena definita, è essenzialmente l’atto con cui Dio ci propone la sua Alleanza e l’atto con cui noi acconsentiamo a quest’Alleanza. Essa è innanzitutto un atto di Dio in nostro favore ; essa è in seguito il nostro atto di adesione alla grazia che ci viene fatta. La liturgia è quindi la conclusione di un’alleanza che, come tale, implica l’atto comune dei due partecipanti. Lungo tutta la storia della salvezza, essa sarà la reattualizzazione o la celebrazione del patto concluso all’origine, sovente il suo restauro e, in Cristo, il suo perfezionamento definitivo.
DOMANDE
Ho memorizzato bene ?
- Quando il sacerdote mostra all’assemblea il Corpo di Cristo dicendo : « Ecco l’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo », l’assemblea risponde con questa frase tratta dall’intervento del centurione : « Signore, non son degno di partecipare alla tua mensa, ma di’ soltanto una parola ed io saro’ salvato » (Lc 7 6 ; Mt 8 8). Questa riposta del centurione implica delle virtu’ specifiche che sono ugualmente necessarie al cristiano per ricevere il corpo di Cristo. Quali sono ?
- « Ecco il consiglio che Cristo ci dà » dice Francesco a Messere Bernardo da Quintavalle dopo la triplice apertura dell’evangeliario. Mi ricordo del contenuto del messeggio trasmesso in questa tripla lettura ? In questo messaggio evangelico non c’è forse una cronologia nel « consiglio dato da Cristo » ?
- La nostra regola ci dice : « Gesù è stato il vero adoratore del Padre : secondo il suo esempio faranno della preghiera e della contemplazione l’anima della loro vita e del loro agire. » In che cosa si puo’ dire che Gesù fu il vero adoratore del Padre ?
Per approfondire
- In un momento ben preciso della messa, l’assemblea risponde in modo unanime : « E’ cosa buona e giusta ». Dopo aver ri – situato questa risposta nello svolgimento della liturgia, posso dire che cosa è « giusto » e che cosa è « buono » ? E infine, perché é « giusto » e perché é « buono » ?
- « Non so più a che punto sono » si sente dire sovente. Mi è già successo di dire la stessa cosa ? In caso affermlativo, che cosa ho fatto per riposizionarmi ? E cosa farei oggi per per rimettere le cose al loro vero posto?
- In quale(i) maniera(e) concreta(e) posso rendere a Dio tutto il bene che mi ha fatto ?