Capitolo I: Vedi, la tua fede ti ha salvato
- Intero (1.35 Mo)
- Parte 1 (844 Ko)
- Parte 2 (165 Ko)
- Parte 3 (412 Ko)
Noi inizieremo la nostra formazione da…dal principio. Potremmo dire che si tratta di un’introduzione lapalissiana? Assolutamente no ! Ma poiché Gesù, nella sua predicazione, si riferisce al principio, possiamo porre il quesito:
Che cos’è il principio ?
Fin dalle prime righe di questo capitolo, tenteremo di rispondere a questa domanda. Così facendo, noi saremo condotti a scoprire la chiave di tutta la rivelazione…
Inforcheremo allora la nostra macchina per viaggiare attraverso i secoli per scoprire l’epoca in cui Gesù è vissuto sulla terra. Ed ugualmente faremo conoscenza con alcune persone tra quelle che incontriamo nel Vangelo.
In seguito ci trasporteremo all’epoca di S. Francesco d’Assisi per scoprirla ed accorgersi di quanto essa fosse tormentata ed appassionante ad un tempo. Parleremo allora di Francesco e di ciò che senza esitazioni può essere definita “la sua conversione”.
Ed infine, poiché entriamo nell’Ordine Francescano Secolare, noi ci rivolgeremo semplicemente questa domanda: cos’è l’Ordine Francescano Secolare ?
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IN PRINCIPIO
Il come ed il perché?
I nostri scienziati cercano di sapere come l’uomo è arrivato sulla terra. In effetti i loro lavori e le loro scoperte, uniti al semplice buon senso, ci permettono d’essere sicuri che l’uomo è comparso sulla terra dopo la “nascita” della terra stessa. Sul piano scientifico, un giorno forse si giungerà a saperne di più sui primi passi dell’umanità. C’è, tuttavia, una cosa che la scienza non può e non potrà mai spiegare, perché è al di fuori del suo campo di competenza; questo è il perché dell’esistenza di tutte le cose, ed in particolare dell’essere umano. Facciamo un esempio per permetterci di comprendere meglio quest’affermazione: immaginiamo che dopo una catastrofe (una centrale nucleare che esplode, ad esempio), degli scienziati visitino una casa d’abitazione, completamente abbandonata dai suoi occupanti, vicina al luogo della catastrofe. Trovano, poggiato sulla tavola della cucina, un dolce (i sinistrati, nella precipitazione, l’avevano abbandonato lì). Loro la prendono e cominciano ad analizzarlo. Con i loro mezzi d’indagine, scoprono come è stato realizzato il dolce (quantità di farina, quantità d’uova, origine della farina,…). A questo livello, si trovano nel mondo della fisica. Ma ciò che non possono e non potranno mai spiegare, beninteso, mai spiegare scientificamente, è la ragione per cui il dolce è stato fatto perché si tratta di tutt’altra cosa. Il dolce era stato confezionato perché la mamma ama il suo bambino con tutto il cuore e, in occasione dei suoi cinque anni, per testimoniargli il suo amore, gli ha fatto una torta di compleanno.
Non bisogna quindi contrapporre le ricerche scientifiche che riguardano l’origine dell’umanità con i primi capitoli della Genesi. Ciascuno risponde alle domande che sono pertinenti al proprio campo. Il primo cerca di spiegare il come, l’altro spiega il perché.
I due primi capitoli della Genesi ci riferiscono le origini del mondo e dell’umanità. In questi due primi capitoli, l’autore della Genesi evoca il “come ciò è avvenuto”, ma soltanto in maniera poetica: un mondo creato in sette giorni ( o sei, più precisamente), per non citare che questo esempio. Per contro, questi stessi capitoli di danno risposta alla domanda del perché dell’esistenza dell’uomo ? In realtà, si tratta di un triplice perché: il perché della sua origine, il perché del suo agire sulla terra, il perché dello scopo che gli è assegnato. Ma non andiamo troppo velocemente e soffermiamoci per qualche istante sugli aspetti che ci aiuteranno a comprendere questo perché.
Prima che Abramo fosse, Io sono.
“In principio, Dio creò”. Ma questa espressione di PRINCIPIO è adoperata in diverse maniere: quando si dice che “Dio è l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine…” ciò significa che Dio è la spiegazione di tutto ciò che esiste, dall’inizio fino al termine ma che Lui stesso non ha né un inizio né una fine. Al contrario, la creazione, lo sappiamo dalla Rivelazione, ha avuto un inizio; e questo inizio fa parte del tempo; cosicché non si può parlare di un “prima dell’inizio”. Questo “prima” non esiste, non è mai esistito.
“Noi crediamo (sta scritto nel Catechismo della Chiesa Cattolica” che Dio, per creare, non ha bisogno di nulla di preesistente né di alcun aiuto. La creazione non è neppure un’ emanazione necessaria della sostanza divina. Dio crea liberamente “dal nulla” (in latino: “de nihilo” che significa “a partire dal nulla”, “a partire da niente)” * CEC 296.. Lo stesso catechismo cita, dopo questa formulazione ufficiale, qualche riga di Teofilo d’Antiochia: “Che vi sarebbe di straordinario se Dio avesse tratto il mondo da una materia preesistente? Un artigiano umano, quando gli si da un materiale, ne fa tutto ciò che vuole. Invece la potenza di Dio si manifesta precisamente IN QUESTO, CHE EGLI PARTE DAL NULLA PER FARE TUTTO CIO’ CHE VUOLE”.
Il mondo è stato dunque tratto dal nulla da Dio; questo non vuole però dire che il nulla sarebbe una cosa preesistente al mondo; ciò significa invece che non esiste alcuna materia preesistente con cui Dio avrebbe fatto, o fabbricato, il mondo. “Fare” e “creare” sono due parole dal senso completamente differente. Gli uomini posso “fare”, possono “fabbricare”; Dio solo “crea”.
In principio, Dio creò.
In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse :”Sia la luce!”. E la luce fu…E fu sera e fu mattina: primo giorno.
Dio disse: “Sia il firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque”. E così avvenne. E fu sera e fu mattina: secondo giorno.
Dio disse: “Le acque che sono sotto il cielo si raccolgano in un solo luogo e appaia l’asciutto” E così avvenne… “La terra produca germogli, erbe che producano seme e alberi da frutto, che facciano sulla terra frutto con il seme, ciascuno secondo la sua specie”. E fu sera e fu mattina: terzo giorno.
Dio disse: “Ci siano luci nel firmamento del cielo, per distinguere il giorno dalla notte; servano da segni per le stagioni, per i giorni e per gli anni e servano da luci nel firmamento del cielo per illuminare la terra” E così avvenne. E fu sera e fu mattina: quarto giorno.
Dio disse: “”Le acque brulichino di esseri viventi e uccelli volino sopra le terra, davanti al firmamento del cielo”. E Dio vide che era cosa buona. – Dio li benedisse: “Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite le acque dei mari; gli uccelli si moltiplichino sulla terra” E fu sera e fu mattina: quinto giorno.
Dio disse: “La terra produca esseri viventi secondo la loro specie: bestiame, rettili e bestie selvatiche secondo la loro specie”. E così avvenne. Dio disse “Facciamo l’uomo, a nostra immagine, a nostra somiglianza e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”. Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. E così avvenne. Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto giorno.
Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere. Allora Dio nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò. Queste le origini del cielo e della terra, quando vennero creati. * Gn. 1 1 fino a 2 4 (estratti).
Dio Amore ci ha creati per amore. Ci ha creati per amare
In una Bibbia in italiano, alla fine della prima narrazione della creazione, leggiamo:
Dio creò l’uomo a sua immagine
Ad immagine di Dio lo creò
Uomo e donna li creò.
Considerando che la parola “uomo” è stata adoperata due volte nelle tre brevi linee che precedono, si potrebbe credere che solo l’uomo è ad immagine di Dio, e la donna no!
Ma non è così. Perché il testo originale (ebraico) non porta la stessa parola nelle due posizioni: per il testo “Dio creò l’uomo a sua immagine”, l’ebraico adopera la parola “Adam” che significa “UOMO” nel senso di “essere umano”, indipendentemente dal fatto che sia maschile o femminile. Riguardo alla traduzione “uomo e donna li creò” essa non è inesatta, ma il testo originale (ebraico) deve essere tradotto più precisamente in “maschio e femmina li creò”.
Noi, uomini e donne, siamo stati creati ad immagine di Dio; peraltro, quest’immagine non deve essere considerata sotto un aspetto biologico, ma sotto un aspetto spirituale. Perché, se si ritrova nell’uomo una somiglianza a Dio a guisa di sua immagine, ciò avviene a livello della sua anima spirituale. Ed allora, poniamoci il quesito di sapere qual è questo attributo divino che fa sì che, in tutta la creazione, solo l’uomo e la donna sono stati creati ad immagine di Dio? La risposta si trova nelle pagine che seguono. E tu vedrai che essa si coniuga in tutte le lingue.
Si, Dio è amore. E questa è la ragione in forza della quale noi esistiamo: per Amore infinito di Dio creatore. L’amore, in effetti, ha bisogno di donare se stesso. Si sono mai visti un uomo ed una donna sposarsi e desiderare di non avere mai figli? No!. L’amore feconda, l’amore dona, l’amore moltiplica, l’amore trasforma. E l’atto creatore non si spiega altrimenti se non perché il Creatore è l’Infinitamente Buono. Questa verità, la Bontà infinita di Dio, è la chiave della comprensione di tutta la tua esistenza, della tua propria esistenza, della tua propria ragion d’essere. Spiega la creazione. Ma, innanzi tutto, è una verità che definisce Dio, una verità che tocca le profondità di Dio. Ed è il motivo per cui, al sommo della Rivelazione, l’evangelista San Giovanni da di Dio questa definizione, autentica chiave di tutta la rivelazione: Dio è Amore.
La conoscenza di cosa è Dio ci permette di comprendere queste verità rivelate: Dio ci ha creati per Amore. Dio ci ha creati per amare. Quando si è compreso questo, quante cose si chiariscono: Dio (Amore) creò l’uomo a sua immagine (Amore), ad immagine di Dio li creò (Amore), uomo e donna li creò (Amore). Non c’è nulla di biologico in tutto questo, ma c’è la ragione del nostro esistere. Quando Gli viene rivolta la domanda: “Quale è il più grande comandamento della Legge ?”, Gesù risponde: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge ed i Profeti. * Mt. 22, 36-40: Sottolineiamo, per inciso, che se Gesù ci dice che il secondo comandamento è simile al primo, ciò non significa che il primo siai intercambiabile dal secondo. Questo è somigliante all’altro, e cioè che il secondo comandamento è ad immagine del primo, come a sua simiglianza.” Due comandamenti e non uno solo. Non è che Dio e il prossimo siano su un piano d’eguaglianza. Perché tutto viene da Dio e tutto torna a Dio. Ma questi due comandamenti d’amore sono su due piani differenti: il primo afferma l’obiettivo ed il secondo stabilisce uno dei mezzi privilegiati per raggiungerlo. In tutti e due i casi, si tratta, in definitiva, d’amare.
Una storia d’Amore.
La nostra esistenza è dunque, prima d’ogni altra cosa, una storia d’Amore con Colui che ci ha creato e con i nostri simili.
Nel giardino dell’Eden, Yahvè Dio ha concesso per Amore ad Adamo ed Eva tutto ciò di cui abbisognavano per la vita materiale e per la Vita Soprannaturale, cioè per il loro corpo e per la loro anima. Noi potremmo dire che, in contraccambio, Yahvè Dio aveva chiesto ad Adamo e ad Eva una sola cosa, una sorta di testimonianza del loro Amore verso di Lui: obbedire a questo comandamento: “Tu puoi mangiare liberamente di ogni albero del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non mangiare! Poiché il giorno in cui ne mangiassi, di certo morresti. * Gn.2, 16-17.”
Nell’Eden niente sacrifici, nessuna offerta né olocausto per piacere a Dio. Solamente una semplice testimonianza d’Amore. Il seguito, lo conosci. La sola testimonianza d’Amore domandata all’uomo non si è saputo compierla. L’uomo ha distolto il cuore dal suo creatore e l’ha rivolto in un’altra direzione e contemporaneamente ha intrapreso una cattiva strada, una via di menzogna e di morte.
Dio in cerca dell’uomo.
Dopo questo momento, Yahvè Dio, e cioè il nostro Padre dei cieli, non ha cessato di chiamare: O Uomo, “Dove sei ?” (Gen. 3,9) perché Dio non ha mai cessato d’amarci. Notiamo, per inciso, che le parole “Dove sei ?” sono le prime parole rivolte da Dio all’uomo dopo il peccato. Queste parole aprono la storia dei rapporti tra Dio e l’uomo peccatore. Ne sono pure il riassunto: tanto a livello della vita collettiva degli uomini quanto sul piano dell’esistenza personale, propria a ciascun individuo, i rapporti tra Dio e l’uomo si riconducono, da parte di Dio, ad una costante sollecitazione in vista di un riallaccio del dialogo: “Il Signore Dio chiamò Adamo: Dove sei ?”. Tu, che leggi queste righe, non dimenticare mai che in ogni momento della tua esistenza, e forse soprattutto nei momenti in cui tu pensi di essere il più lontano da Lui, Dio è in cerca di te, uomo, sua creatura creata a sua immagine e somiglianza. Tutti gli uomini gli sono cari perché hanno in se l’immagine e la somiglianza del Padre Eterno e l’anima immortale che “Egli” ha creato. Dio è il Grande Mendicante e ti domanda l’obolo più prezioso: la tua anima. Ti chiama, t’invita, vuole per la tua anima tutto il bene perché Egli ti ama. Viene alla tua ricerca, ma tu, tu devi aiutarlo con gli altri uomini. Saziamo la fame del suo cuore che cerca l’amore e non lo trova che in un numero troppo piccolo di persone. Perché coloro che non tendono alla perfezione sono per Lui altrettanti pani sottratti alla sua fame spirituale. Diamo le nostre anime al nostro Maestro, afflitto dal non essere amato e d’essere incompreso.
Dal momento dell’origine, Dio chiama ogni uomo: Adamo, dove sei? Questa ricerca di Dio, Egli la va a realizzare nella storia della Salvezza che, dopo la promessa di un salvatore, continua con la vocazione d’Abramo. Dio si rivela * La certezza dell’esistenza di Dio può essere acquisita mediante una riflessione sulle creature. Ma questa certezza diventa per noi più facile in virtù della Rivelazione. agli uomini con i quali stringe alleanza. E noi vedremo che sarà sempre Dio a prendere l’iniziativa.
L’antica Alleanza.
Nella storia della salvezza questa bontà gratuita di Dio si è concretizzata in quello che noi chiamiamo l’Antica Alleanza. * Questo paragrafo sull’Antica Alleanza è stato estratto quasi nella sua totalità da La liturgie dans l’Ancienne Alliance, Dom. Robert Le Gall, Editions C.L.D., 1981, pagg. da 25 a 91.
Dopo la caduta originale, l’uomo continua ad allontanarsi da Dio. Al momento di una catastrofe naturale che ha segnato tutte le regioni del Medio Oriente, Dio tenta di riprendere la sua creazione a cominciare da Noè, il giusto che cammina insieme a Dio. E’ l’occasione di un’alleanza, la prima dopo il peccato. Quando le acque del diluvio si ritirano, Yahvè s’impegna a rispettare i cicli della natura.
Con Abramo, comincia veramente la storia della salvezza. Il racconto della vocazione d’Abramo è succinto. Indica l’iniziativa di Yahvè che invita il suo interlocutore a lasciare tutto per obbedire alla sua voce. A considerare dappresso i termini utilizzati, non ci si può impedire di avvicinarli a quelli di Gen. 2, 24: Abramo è impegnato a lasciare il suo paese, la sua parentela e la casa di suo padre, per unirsi alla volontà di Yahvé che gli si manifesta. Alla fine del racconto della creazione, l’uomo è impegnato a lasciare suo padre e sua madre, per unirsi a sua moglie. La relazione di Yahvé e d’Abramo è di una natura potente, così come la relazione degli sposi tra di loro. Abramo non discute; lungi dal respingere le misteriose proposte di Colui che si rivolge a lui, obbedisce, cioè ascolta ed agisce. E’ dunque la fede d’Abramo che fa di lui un figlio di Dio, perché è per mezzo della fede che si diventa un figlio di Dio e discendente di Abramo. Fin dal principio, Yahvé gli fa una promessa, quella di diventare un grande popolo: ed immediatamente l’Alleanza appare interessare non un solo individuo ma un popolo.
Il tempo passa ma Dio vegli sulla sua promessa. La discendenza dei Patriarchi è resa schiava in Egitto. Dio prepara un uomo alla grande missione di condurre a Lui il Popolo-Sposa al luogo dell’Alleanza. Quest’uomo è Mosè. Questi non esiste che per il fatto che Dio l’ha eletto, l’ha salvato dalle acque del Nilo e l’ha fatto allevare alla corte del Faraone. Quando Mosè vuole prendere su di lui il compito di farsi campione dei suoi fratelli uccidendo un Egiziano, è la sconfitta e la fuga nel paese di Madian. Dio l’aspetta nel deserto. Lo chiama per nome e si rivela a lui come il Dio d’Abramo, d’Isacco e di Giacobbe. Il Dio della promessa ha visto la miseria di quella gente che egli chiama il suo popolo e “scende” per liberarla per mezzo di Mosè. Il popolo non è liberato dalla schiavitù che per rendere servizio a Dio; Yahvè l’ha immediatamente reso noto a Mosè. A sua volta, Mosè non da altro motivo per l’uscita dall’Egitto che questo stesso servizio a Yahvé, secondo la formula che ritorna copme una costante, dopo ognuna della piaghe inflitte a Faraone ed al suo paese: “Lascia partire il mio popolo, perché mi serva nel deserto”. (Exod. 7 16; 7 26; 8 16; 9 1; 9 13; 10 3; 10 7; 10 11; 10 26). Dopo il formidabile intervento divino a favore del suo popolo, l’alleanza è sul punto di poter essere conclusa nel deserto tra Yahvé ed il suo popolo. Ma questa alleanza che stava particolarmente a cuore a Dio, viene immediatamente segnata dall’infedeltà del popolo che si consacra al vitello d’oro. Mosè deve pregare Yahvé di non sterminare questo popolo dalla dura cervice per legarsi ad un popolo più docile alla sua azione amorosa. Da quel momento in poi, una sorta di caducità abita il patto sinaitico. Perché l’uomo non cessa di rompere quest’alleanza, come una sposa infedele viola l’alleanza stretta il giorno delle nozze. Tuttavia, Dio non cambia. Il suo progetto permane. Allora Dio stabilirà un’alleanza nuova ed eterna * Mt. 26 26-29 ( Giovedì 6 e Venerdì 7 aprile dell’anno 30 dell’era cristiana). con l’uomo.
La nuova alleanza.
L’incarnazione
Il desiderio di riconciliazione è così forte da parte del nostro creatore da inviare, per costruire e sigillare questa riconciliazione tra Lui e noi, il suo, il proprio Figlio; in altri termini: Dio si fa uomo, si incarna. E’ ciò che si chiama Incarnazione * Questo fatto senza precedenti (il mistero dell’Incarnazione) testimonia l’immenso amore che Dio ci porta. Il mistero della Passione redentrice di Gesù Cristo costituisce l’altra grande testimonianza dell’amore di Dio per noi. Francesco d’Assisi resterà fino alla sua morte meravigliato da questi due misteri d’amore.. Questa incarnazione, noi lo professiamo ad ogni messa della domenica: “Per noi uomini e per la nostra salvezza Egli discese dal cielo; per mezzo dello Spirito Santo s’è incarnato nel grembo della Vergine Maria e si è fatto uomo”. Ma perché il Verbo si è fatto uomo? Il Verbo si è fatto carne per salvarci riconciliandoci con Dio: “E’ Dio che ci ha amato e che ha inviato suo Figlio come vittima di propiziazione per i nostri peccati” (1 Jn 4 10). Il Verbo si è fatto carne affinché noi conoscessimo così l’amore di Dio: “Perché Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Jn 3 16) Il Verbo si è fatto carne per essere il nostro modello di santità: “Amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amati” (Jn 15 12). Il Verbo si è fatto carne per renderci “partecipi della natura divina” (2 P 1 4): “ Perché questa è la ragione per cui il Verbo si è fatto uomo, e il Figlio di Dio, Figlio dell’uomo: perché l’uomo, entrando in comunione con il Verbo e ricevendo così la filiazione divina, divenga figlio di Dio * Sant’Ireneo, Traité contre les hérétiques, 3, 19,1.”.
Dio annunciò l’Incarnazione di suo Figlio per bocca del primo dei grandi profeti, Isaia (che visse nell’VIII secolo A.C.) : “Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la Vergine concepirà e partorirà un figlio che chiamerà Emmanuele” (Is 7 14). La vergine di cui si parla è “Maria”, chiamata anche la “Santa Vergine”. Ha concepito per opera dello Spirito Santo * Lo Spirito Santo è la terza persona della Santissima Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo. E’ soprattutto in ragione di questa Paternità Divina che si può affermare che Gesù è Figlio di Dio. Così, Dio Padre rivela in Gesù Cristo, Figlio di Dio, il suo Amore agli uomini attraverso l’azione dello Spirito Santo. e partorito Gesù, “il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16 16). “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità ed è chiamato: “Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della Pace”” (Is 9 1 e 5).
La Redenzione
Nelle nostre leggi umane, si qualcuno commette un crimine, la giustizia degli uomini pronuncia nei suoi confronti una condanna. Egli deve “pagare” per la sua colpa. Il “pagamento” si traduce spesso nella carcerazione del colpevole. A questo pagamento s’aggiunge la necessità di una buona condotta durante e dopo la durata della pena. Egli deve così “riabilitarsi” agli occhi della società. Al termine dell’espiazione della pena e della riabilitazione agli occhi di tutti, l’uomo recupera la libertà e ritrova i diritti di libero cittadino. Si dice, allora, che egli ha “pagato il suo debito” verso la società.
Nel caso del peccato dell’uomo, e cioè non solo del peccato originale, ma ugualmente dei miei propri peccati * Perché la Chiesa, nel Magistero della fede e nella testimonianza dei suoi santi, non ha mai dimenticato che i peccatori stessi furono gli autori e, al tempo stesso, quasi gli strumenti di tutte le sofferenze che il divino Redentore ha patito. Tenendo conto del fatto che i nostri peccati colpiscono Cristo stesso, la Chiesa non esita ad imputare ai cristiani la responsabilità più grave del supplizio di Gesù, responsabilità della quale essi hanno troppo spesso fatto carico agli Ebrei. CEC 598. In uno dei suoi ammonimenti, Francesco d’Assisi non esita ad affermare: “E i diavoli, non sono coloro che L’hanno crocifisso; sei tu che con L’hai crocifisso e lo crocifiggi ancora, dilettandoti nei vizi e nei peccati.” Adm. 5 3, il riscatto della colpa verso Dio si compie attraverso Gesù Cristo. Per la sua amorosa obbedienza al Padre, Gesù arriva a compiere questo riscatto “fino alla morte di Croce”, compiendo così la missione di espiazione del Servo sofferente che giustifica le moltitudini facendosi carico Lui stesso dei loro peccati. La morte di Cristo è il sacrificio Pasquale che compie la Redenzione definitiva degli uomini per mezzo dell’Agnello di Dio che porta su di sé i peccati del mondo. La morte di Cristo è in tutto e per tutto il sacrificio della Nuova Alleanza che rimette l’uomo in comunione con Dio, riconciliandolo con Lui in virtù del sangue versato per le moltitudini in remissione dei peccati. * CEC 613
Così, Dio si è fatto uomo ! Noi avremmo potuto pensare che questo avvenimento si sarebbe potuto fare in pompa magna, con cimbali e trombe, in una sorta di “grandiosità” hollivuddiana tale da porcelo in “primo piano”. In breve, qualche cosa che forzasse il nostro credere in Dio e che, forse per qualche aspetto, annichilisse la nostra libertà di credere e di amare. Gli avvenimento (peraltro annunciati sette secoli prima) sono stati ben altro. Se Gesù Cristo, il Messia tanto atteso, ha potuto pronunciare parole straordinarie, parole che nutrono, e compiere azioni ugualmente fuori dal comune (i miracoli), il nostro Redentore si è fatto povero ed umile. Si è fatto uomo. Ha preso su di Se i nostri peccati. Crocifisso, Egli ha versato il suo sangue per darci la vita. E, resuscitando, Egli ha distrutto la morte.
La fede, risposta dell’uomo a Dio che si rivela e si dona a lui.
“Gioia per i cuori che cercano Dio” (Ps 105 3). Se l’uomo può dimenticare o rifiutare Dio, Dio, Lui, non cessa di chiamare ogni uomo a cercarlo affinché egli viva e trovi la felicità. Perché è qui lo scopo ultimo della nostra esistenza: vivere nella pace di Dio. Ma questa ricerca esige dall’uomo tutto lo sforzo della sua intelligenza, la rettitudine della sua volontà, “un cuore retto”, ed anche la testimonianza di altri uomini che gli insegnino a cercare Dio * CEC 30. La fede è la risposta dell’uomo a Dio che si rivela e si dona a lui. Abramo, il Padre di tutti i credenti, è il modello di questa risposta, di questa obbedienza nella fede * Obbedire, è ob-audire, cioè ascoltare ed agire. Obbedire nella fede, è sottomettersi liberamente alla parola ascoltata, perché la sua verità è garantita da Dio, Verità in persona. CEC 144..
Abramo, alla chiamata di Dio, lascia il suo paese senza sapere dove va, per una terra che deve ricevere in eredità; per fede, vive come straniero e pellegrino nella terra promessa; per fede, Sara riceve la grazia di concepire il figlio della Promessa; per fede, infine, Abramo offre il suo unico figlio in sacrificio. Ma se Abramo è il modello dell’obbedienza a Dio, la Vergine Maria ne è la realizzazione più perfetta. Nella fede, Maria accoglie l’annuncio e la promessa portati dall’angelo Gabriele, credendo che “nulla è impossibile a Dio” (Lc 1 37); Gli dà il suo consenso: “io sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1 38); Elisabetta la saluta “Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore” (Lc 1 45). E’ per questa fede che tutte le generazioni la proclamano beata.
Francesco d’Assisi è un uomo alla ricerca di Dio. Sa di essere povero, piccolo e peccatore. All’alba della sua conversione, inginocchiato davanti al crocefisso di San Damiano, rivolge umilmente all’Altissimo questa preghiera:
“Dio Altissimo e glorioso, vieni a rischiarare le tenebre del mio cuore; dammi una fede retta, una speranza solida ed una perfetta carità: donami di sentire e di conoscere, affinché io possa compierla, la tua santa volontà grazie alla quale non mi perderò. Amen! * PSD. Al lettore di questo manuale di formazione: non credi che, nella tua preghiera giornaliera all’Altissimo, potresti anche tu rivolgerGli questa domanda? Infatti, non ha forse detto: Chiedete e vi sarà dato (Mt 7 7)?! ”
Oggi, a mia volta, che io sappia lasciarmi cogliere dall’amore di Dio. Che io sappia umilmente aprirGli il mio cuore affinché Egli possa occuparvi “tutto il posto”. Che io non provi alcun timore nei suoi confronti ma, al contrario, che io speri in Lui con tutta la mia anima. Come Francesco, che la mia fede divenga dinamica, affinché l’Amore di Dio inondi tutta la mia vita, tutti i miei atti e tutti i miei pensieri. Che io non rinchiuda, quindi, Dio, in un culto settimanale, al di fuori del quale Dio non avrebbe alcun posto, ma, al contrario, che Egli inondi tutta la mia vita interiore e tutti i miei rapporti con le altre creature dell’universo.
Con questa preghiera di Francesco noi terminiamo la vera introduzione di questo manuale per la formazione. Si deve ammettere effettivamente che nel corso di queste poche pagine sono state pronunciate le parole più importanti che possiamo trovare in tutto il manuale:
Il seguito di questo manuale di formazione sarà costituito per un parte da uno sviluppo di queste tre parole. Citeremo, inoltre, un certo numero di passi del Vangelo, di quel tempo in cui Dio si è fatto uomo. Ma preliminarmente all’evocazione di questi racconti ci pare auspicabile, allo scopo di “gustare” il Vangelo nella sua realtà storica e talvolta semplicemente per comprenderne il senso, di descrivere brevemente la vita al tempo di Gesù. La seconda parte di questo sotto-capitolo ci presenterà ugualmente alcuni gruppi di persone che Gesù ha conosciuto durante la sua vita pubblica.
AI TEMPI DI GESU’ DI NAZARETH.
Il primo episodio della vita di Cristo si colloca in un momento ben preciso della storia degli uomini. Ma cominciamo con lo scoprire il paese che l’ha visto nascere.
Un po’ di geografia.
Gesù Cristo nacque, dunque, circa 2000 anni fa, in una regione del mondo chiamata Palestina. Quando si prende una carta del globo terrestre, è assai difficile distinguere dove si trova la Palestina. Piccolo paese situato sulla costa est del mare Mediterraneo, lunga 200 chilometri e larga dai 40 ai 65 chilometri, si componeva ai tempi di Gesù di diverse
province. Le tre principali province nella quali Gesù si sposterà, sono: la Giudea, la Galilea e la Samaria.
La Giudea: il confine ovest della Giudea è il "grande mare" (Mare Mediterraneo) e quello Est "il mare di La Araba" (il Mar Morto). Quest'ultimo è situato ad un'altitudine di 300 metri al di sotto del livello del mare e la capitale della Giudea (Gerusalemme) si trova su di un altopiano la cui altitudine oscilla tra i 640 ed i 770 metri al di sopra del livello del mare. Conoscendo l'esigua superficie della Giudea, è agevole intuire lo scoscendimento del paese.
La Giudea vedrà nascere * Nascita di Gesù a Betlemme in Giudea. Lc 2 1-7 e morire Gesù * Crocifissione di Gesù a Gerusalemme (Mt 27 33-56) il venerdì 7 aprile dell’anno 30 dell’Era Cristiana.. Costituisce una delle due province ove Gesù eserciterà la parte essenziale del suo ministero pubblico.
Da ultimo, la grande maggioranza dei suoi abitanti appartiene al giudaismo, ad eccezione dell'occupante romano di cui si tratterà poco più avanti.
La Galilea: è la provincia ebraica del Nord, ma di questa regione si dice che non ha mai dato nessun profeta (Jn 7 52). Questa provincia conosce, come la Giudea, un rilievo particolarmente pronunciato. La Galilea è chiamata "distretto delle nazioni" (Is 8 23), espressione che si spiega con la sua situazione geografica propizia agli scambi commerciali e con la mescolanza della sua popolazione. Gli abitanti della Galilea si riconoscono dal loro accento (Mt 26 73). Questa provincia non conoscerà l'invasore romano.
La Galilea vedrà crescere Gesù. In effetti Egli passerà la parte nascosta della sua vita (Infanzia ed inizi della sua vita d'adulto) nel villaggio di Nazareth, villaggio di Giuseppe * Giuseppe è il padre putativo di Gesù. Dovrà prendersi cura del bambino e si onererà di questo compito con una devozione ed una Santità che fanno di lui un esempio di coraggio e d’umiltà. e di Maria sua madre. Secondo la cronologia dei sinottici, Gesù esercita la prima parte del suo ministero in Galilea.
La Samaria: La Samaria è la regione centrale della Palestina. Divide, di fatto, la Giudea dalla Galilea. Però i suoi abitanti, benché in attesa del Messia, non professano la legge giudaica pura e ortodossa. Ciò deriva da molteplici ragioni: deportazione degli antenati della provincia, arrivo di coloni con i propri culti... L'ostilità tra Giudei e Samaritani * I Samaritani sono gli abitanti della Samaria. è reciproca. All'epoca di Gesù, i Giudei non frequentavano i Samaritani e, peraltro, per i Giudei, la parola stessa di "samaritano" costituisce un'ingiuria (Jn 8 48). Da parte loro i Samaritani non esitano a molestare i pellegrini Giudei che salgono a Gerusalemme. D'abitudine, dunque, si passa attorno alla Samaria per transitare dalla Galilea alla Giudea.
L'occupante Romano ed Erode.
All'epoca di Gesù, le cose non vanno al meglio come nel migliore dei mondi. La Giudea, dall'anno 63 a.C. conosce l'occupazione romana ed il motivo di quest'annessione merita d'essere sottolineato.
Nel 64 a.C. due fratelli si disputano il potere in Gerusalemme: Ircano II e suo fratello Aristobulo II. Entrambi vanno a chiedere un aiuto militare al generale romano Pompeo che ha appena conquistato la Siria. Pompeo opta per il partito di Ircano II e prende Gerusalemme. I Romani "s'installano" allora in Giudea lasciando tuttavia ad Ircano II il sommo pontificato, ciò la carica di sommo sacerdote e d'etnarca. Malgrado quest'apparente libertà politica e religiosa, i fatti dimostrano che la Palestina diviene un vero e proprio protetToràto romano che deve pagare tributo all'imperatore. D'altra parte, Roma fa il bello ed il cattivo tempo in Palestina:
- Ircano II acquista il potere grazie all'esercito romano (63 a.C.);
- Roma "aggiunge" ad Ircano II un procuratore Idumeo di nome Antipatro (47 a.C.);
- A causa dei disordini dovuti alle guerre civili in Palestina provocate dai partigiani di Ircano II e di Aristobulo II, il Senato Romano nomina re uno dei figli del procuratore Antipatro, un certo....Erode il Grande (nel 40 a.C.).
Uomo politico assai abile, Erode il Grande sposa una principessa dell'antica famiglia reale allo scopo di legittimare la sua posizione politica presso gli abitanti della Palestina.
Tenta di accaparrarsi favori del popolo ebraico ricostruendo il tempio di Gerusalemme distrutto nel 587 a.C. quantunque, diciamolo semplicemente, egli non ha nulla a che vedere con la religione, sia quella ebraica od altra.
Malgrado ciò, egli sarà detestato dagli Ebrei. Ciò che egli ama, sono il denaro ed il potere. Per conservare queste due cose, i suoi dei sopra ogni cosa, applica simultaneamente la politica del più dolce e la politica del più forte:
- la politica del più dolce: Erode resta strettamente sottomesso a Cesare Augusto in politica estera. Sa mostrarsi abile cortigiano, servendo sufficientemente gli interessi di Roma per ottenere favori sostanziosi. Finirà per regnare su di un territorio che, per l'epoca, può essere definito considerevole: l'Idumea, la Giudea, la Samaria, la Galilea, la Golanitide, la Batanea, la Traconitide, l'Oranitide e la Perea.
- la politica del più forte: si racconta che non avrebbe esitato a far mettere a morte sua moglie ed alcuni dei suoi figli che sospettava complottassero contro di lui. Erode il Grande è a tal punto attaccato alla corona che, quando gli si presentano i magi che vengono per adorare il re-messia atteso da Israele, Erode vede in questo messia un concorrente al potere. Cerca di conoscere il luogo esatto dove si trova il bambino * Mt 2 7 “Andate ed informatevi accuratamente del bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo. Ignorandolo, alla fine, "Erode... fu preso da un violento furore e mandò ad uccidere, in Betlemme ed in tutto il suo territorio, tutti i bambini di meno di due anni" (Mt. 2 16), cosa che fu eseguita.
Come possiamo constatare, il popolo ebraico subisce, una volta ancora nella sua storia, innumerevoli tormenti con l'invasore romano presente sul suo territorio nazionale e con questo re che non appartiene alla comunità ebraica.
Ma quale è dunque la fede che anima questo popolo e che gli permette di subire e di risollevarsi?
L’ebraismo e l’attesa del Messia.
Occorre rimettersi nel contesto. Dai tempi di Mosè, il popolo ebraico costituisce il popolo scelto da Dio per accogliere i suoi comandamenti e metterli in pratica. Sono comandamenti d’amore e di fedeltà. In contraccambio, Dio accorda le sue innumerevoli grazie. Yahvè Dio conclude quindi un’alleanza con il suo popolo (Dt 5 1-22) che si traduce nei dieci comandamenti. Questi dieci comandamenti dati da Yahvè Dio al suo popolo coprono ogni campo della vita religiosa e morale del popolo eletto, cosicché nell’ebraismo, la politica ed il momento religioso formano un insieme difficilmente dissociabile.
Sfortunatamente il popolo eletto, sicuro del fatto di esserlo, si adagia in un “quietismo” di cattiva lega e precipita frequentemente in una profonda decadenza morale.
I profeti annunciano frequentemente i castighi di Yahvè e, quando essi giungono, il popolo aspetta con ancora più impazienza il Messia annunciato dalla Scrittura. Così la concezione più diffusa all’epoca di Gesù identificava il Messia in un sovrano potente che protegge il popolo (traduciamo: un Messia che rimandasse i Romani a casa loro; un Messia reale che si sedesse sul trono di David suo padre al posto… del re Erode; ecc…) e che, beninteso, sottomette tutti gli altri popoli della terra al suo dominio allo scopo di assicurare una pace universale (traduciamo: se necessario, una pace conquistata con le armi. Non si tratterebbe più della pace romana, ma sarebbe la pace ebraica a regolare tutti i problemi del mondo). In breve, il Messia atteso non può che avere il profilo di un re guerriero, dominatore e potente. Il mondo non conoscerebbe allora che due alternative: sottomettersi o morire.
Non ci si immagina quindi un Cristo sofferente, un umile servitore venuto a liberare gli uomini dalla schiavitù del peccato e non dal giogo romano. Un Messia che da a se stesso la qualifica di seminatore e che lascia a ciascuno la sua libertà di accogliere la parola o di rifiutarla. E c’è forse una cosa ancora più grave! I rabbini dell’epoca tendono a mantenere il Messia al di fuori della sfera del divino. Un uomo che sia il Figlio di Dio? Voi non potete immaginarlo! * La realtà di Dio fatto uomo resta un ostacolo assai importante nella reciproca comprensione delle differenti comunità monoteiste.
Gesù, malgrado le parole che pronuncia e le opere che compie pubblicamente, si scontra con l’incomprensione e trova l’opposizione delle persone più istruite del popolo ebraico. Essi, per poter dire che persiste la notte dell’attesa del Cristo, s’ostinano a tenere chiusi gli occhi per non vedere la luce che c’è nel mondo. I principali oppositori s’incontrano tra: i farisei, i sadducei e gli scribi.
I farisei
I farisei costituiscono una delle componenti ebraiche dell’epoca di Cristo, che si distingue essenzialmente per lo studio e l’interpretazione della Santa Scrittura.
I farisei, desiderando elaborare un quadro preciso che permetta d’osservare esattamente la Torà, finiscono per elaborare 613 regole (248 precetti e 365 divieti). Noi possiamo intuire al volo il pericolo di voler gestire tutto secondo regole precise per ogni atto della vita: quello di dimenticare l’essenziale, di dimenticare il cuore della fede polarizzandosi sul rispetto di molteplici pratiche. Gesù li criticherà assai duramente su quest’aspetto (Mt 23 23).
Contrariamente ad un pensiero assai diffuso, i farisei sono reclutati nella fasce sociali assai umili. Generalmente, il rigore della loro vita conferisce una grande credibilità presso i ceti più modesti. Tuttavia la predicazione di Gesù modifica l’ascolto delle persone umili nei loro confronti.
I farisei sono da annoverarsi tra i principali detrattori di Cristo. Tuttavia sarebbe erroneo generalizzare, perché Gesù incontra degli amici tra di loro: c’è Nicodemo che prenderà le difese di Gesù (Jn 7 50 et s.) nel corso di una discussione tra farisei e che, per la sepoltura di Gesù, porterà cento libbre di mirra e d’aloe (Jn 19 39). Questo notabile fariseo venne una notte a trovare Gesù e gli fa un’autentica professione di fede in ragione dei segni che Gesù ha compiuto (Jn 3 2); cerca di comprendere le parole misteriose di Gesù e bisogna riconoscere che egli si trova assai a disagio, e ciò malgrado la sua conoscenza delle Scritture (Jn 3 10).
I sadducei
I sadducei costituiscono un altro gruppo all’epoca di Cristo. Formano un partito politico-religioso nell’ebraismo ed i suoi aderenti appartengono soprattutto alle grandi famiglie sacerdotali ed all’aristocrazia laica. A fronte dell’osservanza severa dei farisei, i sadducei adottano un atteggiamento più laico. I sadducei s’intendono, d’altronde, assai bene con l’occupante romano malgrado la loro appartenenza all’ortodossia ebraica. Preconizzano un certo qual materialismo e negano la resurrezione dei morti (Lc 20 27).
I sadducei sono poco numerosi e, al contrario dei farisei, sono assai discosti dal popolo che essi disprezzano. Ma i due partiti trovano un accordo nel loro odio nei confronti di Gesù.
I sadducei amano il potere ed il denaro. Caifa, il Sommo Sacerdote * Caifa svolge un ruolo capitale nel processo a Gesù., appartiene a questo gruppo di sadducei e, in forza di questa carica di Sommo Sacerdote, presiede il Tribunale del Sinedrio * Il sinedrio è il grande tribunale del popolo ebraico davanti al quale comparirà Gesù. E’ composto da 71 membri ripartiti in tre classi: 1. i vecchi rappresentanti dell’aristocrazia laica (è possibile che Giuseppe d’Arimatea, discepolo di Gesù, appartenesse a questa categoria del sinedrio); 2. i sommi sacerdoti (in carica ed onorari) ed i membri di quattro famiglie nelle quali venivano scelti generalmente i sommi sacerdoti; 3. gli scribi o dottori della legge, appartenenti più frequentemente al partito dei farisei., lo stesso che giudicherà e condannerà Gesù.
Gli scribi
Dalla notte dei tempi il mondo conobbe il bisogno di scrivere. Se la religione ebraica si riveste talvolta del soprannome di “religione del libro”, è perché bisogna riconoscere che ha lasciato un’opera scritta considerevole: la Bibbia. Gli scribi sono gli autori di questa diffusione scritta dei testi biblici. Al tempo di Gesù gli scribi godono della più grande considerazione e la gente ha l’abitudine di chiamarli “rabbi” o, ancora, “maestro”. Questi specialisti dei testi sacri copiano, traducono, esercitano funzioni di consiglieri dei tribunali, di giudici e d’insegnanti. Ma la scienza conduce fino all’orgoglio ed all’autosufficienza. Gli scribi considerano Gesù con disprezzo, quest’uomo che pretende d’insegnare con autorità senza avere studiato (Mc 11 27-28)! Come potrebbe possedere la competenza dottrinale, quando questa non può essere acquisita se non dopo avere letto e scrutato le scritture (Per esempio Mt 12 2; Mt 19 1-9)?
Noi vediamo così le numerose difficoltà che Gesù incontra. E la parola che Egli proclama provoca una ben curiosa conseguenza: quella d’essere compresa dalle persone semplici e non dai sapienti * “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché ai tenuto nascoste queste cose ai sapienti ed agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli”. Mt 11 25.. Com’è possibile una cosa simile? Una cosa simile è possibile perché la parola di Dio non s’indirizza soltanto all’intelligenza, ma al cuore. Ricordiamo l’essenza del messaggio che ci rivolge San Giovanni Battista: “Cambiate i vostri cuori”.
Però Gesù non conosce solo dei nemici. Abbiamo visto che tra coloro che costituiscono i suoi avversari più temibili, noi incontriamo alcuni amici * Nicodemo, il fariseo e Giuseppe d’Arimatea, membro del sinedrio, uomo ricco, buono e giusto (Lc 23 50). Tuttavia, la scelta degli apostoli si orienta, curiosamente, verso gente del popolo, non perché essi siano troppo facilmente creduli * La reazione degli apostoli di fronte all’annunzio della resurrezione da parte delle pie donne prova il contrario (vedi Lc 24 11). al primo imbonitore venuto, ma queste persone semplici accolgono la Parola di Gesù ed i segni che egli compie fin dal primo momento con i loro cuori.
Vediamo dunque alcune persone che l’accompagnavano sulle strade della Palestina. Precisiamo fin d’ora che la prima persona da citare è la Vergine Maria. Ma non è il caso di occuparcene ora. Però, rassicurati, Ella non è dimenticata perché troverai, più avanti in questo manuale, un intero capitolo che sarà consacrato a Lei.
Gli apostoli
Gesù chiama dodici discepoli che costituiranno i dodici apostoli. Etimologicamente la parola “apostolo” significa “inviato”, “messaggero”, cioè “incaricato di una missione”. Ritorneremo in un prossimo capitolo su questo aspetto missionario. Per il momento, facciamo semplicemente conoscenza con i suoi apostoli.
Simon Pietro: il primo dei dodici. Galileo e pescatore di mestiere. E’ suo fratello Andrea che conduce Pietro a Gesù. “Gesù fissando lo sguardo su di lui disse: “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)” (Jn 1 42). Gesù lo costituirà primo Papa della Chiesa: “Ed io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa…” (Mt 16 18).
Andrea: fratello di Pietro. Galileo e pescatore di mestiere. Andrea è dapprima discepolo di Giovanni Battista, il precursore. Dopo che Giovanni Battista designò l’Agnello di Dio, Andrea ed un altro discepolo corrono dietro a Gesù. “Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: “Che cercate?” Gli risposero “Rabbi (che significa Maestro), dove abiti ?” Disse loro “Venite e vedrete” (Jn 1 38-39). Andrea condurrà Pietro a Gesù.
Giacomo (figlio di Zebedeo): Galileo e pescatore di mestiere. Gesù lo chiama mentre è nel pieno del lavoro: “Andando oltre, vide altri due fratelli Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello, che nella barca insieme con Zebedeo, loro padre, riassettavano le reti; e li chiamò. Ed essi, lasciata la barca ed il padre, lo seguirono” (Mt 4 21-22).
Giovanni: Galileo e pescatore di mestiere, come suo padre Zebedeo e suo fratello Giacomo. Giovanni è assai probabilmente il secondo personaggio cui Giovanni Battista designa l’Agnello di Dio (il Vangelo non lo nomina espressamente). Con Andrea, essi sono i due primi discepoli chiamti da Gesù. La tradizione ci riferisce che Giovanni è il più giovane del gruppo dei dodici, “quello che Gesù amava” (Jn 13 23). Inoltre, Giovanni sarà l’autore del quarto Vangelo: “questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti: e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera” (Jn 21 24).
Filippo: Galileo. Il giorno dopo della chiamata di Pietro, Gesù si propone di partire per la Galilea; incontra Filippo e gli dice: “Seguimi!” Filippo era di Betsaida, la città di Andrea e di Pietro” (Jn 1 43-44). Filippo andrà a cercare Bartolomeo per condurlo a Gesù.
Bartolomeo (Natanaele): Galileo. Filippo incontra Natanaele e gli dice: “Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella legge ed i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazareth” Natanaele esclamò: “Da Nazareth può mai venire qualcosa di buono ?” Filippo gli rispose “Vieni e vedi”. Gesù intanto, visto Natanaele che gli veniva incontro, disse di lui: “Ecco davvero un israelita in cui non c’è falsità”. Natanaele gli domandò: “Come mi conosci”? Gli rispose Gesù: “Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico” Gli replicò Natanaele: “Rabbi, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!” Gli rispose Gesù “Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, credi? Vedrai cose maggiori di queste!” Poi gli disse:”In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo”. (Jn 1 45-51)
Matteo (Levi): Galileo, anch’egli, ma non pescatore di mestiere, almeno non nel senso corrente per i suoi contemporanei. In effetti, Matteo è un pubblicano, cioè un esattore delle imposte in favore dei poteri costituiti (i Romani ed il re Erode). E’ evidente che i pubblicani non si attiravano molta benevolenza e, d’altra parte, i vangeli associano spesso un termine poco elogiativo con la parola pubblicano: “pubblicani e peccatori” (Mt 9 10) e, ancora, “pubblicani e prostitute” (Mt 21 32). E tuttavia è proprio un pubblicano che Gesù chiama: “Dopo di ciò egli uscì e vide un pubblicano di nome Levi seduto al banco delle imposte, e gli disse: “seguimi”. Egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì. (Lc 5 27-28). Matteo sarà colui che scriverà il primo dei quattro Vangeli.
Tommaso (soprannominato Didimo): noi non sappiamo se Tommaso, come tutti gli altri che abbiamo appena descritto, è Galileo o no. I Vangeli ce lo presentano come colui che, nonostante la sua generosità, dubita e domanda dei segni: “Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via ? “ (Jn 14 5), e, più tardi, dopo la resurrezione: Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. I discepoli gli dissero: “Abbiamo visto il Signore!” Egli rispose loro: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò.” Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”
Poi disse a Tommaso: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!” Rispose Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!” Gesù gli disse:”Perché mi hai veduto hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!” (Jn 20 24-29)
Giacomo (figlio d’Alfeo): non sappiamo molto di Giacomo (figlio d’Alfeo). In realtà il nuovo testamento non ci riferisce altro che il suo nome (Mt 10 3 e Ac 1 13).
Giuda: Galileo ed originario di Nazareth, è uno dei cugini di Gesù. I suoi genitori sono Clopa e Maria (Jn 19 25) (cognata o cugina della Santa Vergine) e suoi fratelli Giacomo minore, Simone e Joses (Mc 6 3).
Simone (lo Zelota): il Vangelo non ci dice nulla di lui, se non che faceva parte dei dodici apostoli (Lc 6 15) e che prima d’essere chiamato doveva essere stato zelota. Gli zeloti costituivano un gruppo religioso ebreo prossimo ai farisei ma che aggiungeva alla sua fede un nazionalismo militante e fanatico.
Giuda Iscariota: Giuda è sempre citato per ultimo nella lista dei dodici apostoli. Sembra essere originario della Giudea * “Iscariota” è generalmente interpretato come “l’uomo di Kériot” (città di Giuda).. Gli evangelisti insistono sulla sua qualità d’apostolo nel senso stretto del termine: Giuda è “uno dei dodici” (Mt 26 14). L’insistenza sulla sua qualità d’apostolo ne prepara un’altra: Giuda, è “colui che l’ha tradito”. Quest’ultima precisazione ritorna incessantemente. Giuda è effettivamente l’apostolo che ha venduto Gesù per trenta monete d’argento (Mt 26 14-16). Il carattere sordido della sua furberia culmina quando, nell’orto del Getsemani, Giuda falsifica un segno d’amore in un atto di tradimento: “Chi lo tradiva aveva dato loro questo segno: “quello che bacerò, è lui; arrestatelo e conducetelo via sotto buona scorta”. Allora gli si accostò dicendo “Rabbi” e lo baciò (Mc 14 44-45). Gesù gli disse: “Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell’Uomo ?” (Lc 22 48).
L’Evangelista Matteo ci dice che dopo la condanna di Gesù, Giuda fu preso dai rimorsi ed andò ad impiccarsi (Mt 27 3-5). Malgrado le apparenze, forse è questo il più grande peccato che Giuda ha potuto commettere. Giuda, per la sua mancanza di Fede, ha dubitato della misericordia di Dio, dell’Amore di Dio * “A chiunque parlerà male del Figlio dell’Uomo sarà perdonato; ma la bestemmia contro lo Spirito, non gli sarà perdonata né in questo secolo, né in quello futuro” Mt 12 32. L’uomo è scusabile se s’inganna sulla dignità divina di Gesù, velata dalle umili apparenze di “Figlio dell’Uomo”, ma non se chiude gli occhi ed il cuore alle opere splendide dello Spirito. Negandole, rigetta il dono supremo che Dio gli fa e si pone al di fuori della salvezza. Les editions du Cerf 1956, La Sainte Bible (Jérusalem), Nota e) pag. 1305.. Giuda ha pensato che il nostro Padre non avrebbe mai potuto perdonargli il tradimento. Giuda avrebbe potuto pentirsi. Invece non ebbe che dei rimorsi ed andò ad impiccarsi.
Ma rimontiamo nella nostra macchina per viaggiare attraverso il tempo. In realtà, dopo essere andati agli albori dell’umanità, abbiamo viaggiato per fermarci all’inizio dell’era cristiana. Proseguiamo ora il nostro viaggio nel tempo per conoscere, almeno un poco, i tempi nei quali Francesco d’Assisi ha vissuto, e cioè la fine del XII secolo dopo Cristo.
AI TEMPI DI FRANCESCO DI ASSISI
In una città d’Italia, un certo Giovanni Bernardone vede la luce alla fine dell’anno 1181 o all’inizio del 1182. Suo padre, Pietro Bernardone, non è accanto alla sua sposa per sentire i primi vagiti di suo figlio. Ricco mercante di stoffe, Pietro Bernardone si trova in Francia in viaggio di affari al momento della nascita. Aspettando il suo ritorno, Donna Pica chiama il neonato Giovanni, ma suo padre, al ritorno del viaggio, gli da nome Francesco, che significa “piccolo francese”. Questo sarà il suo nome di battesimo. Questo bambino crescerà nella sua città natale, dove vivrà pure l’essenziale della sua vita e dove morrà. Questa città porta il nome di Assisi. Ecco perché, alla sua morte, sarà chiamato “Francesco d’Assisi” * Nel presente manuale utilizzeremo indistintamente le quattro demoninazioni seguenti: Francesco, Francesco d’Assisi, San Francesco o San Francesco d’Assisi. .
Assisi
Magnifica cittadina italiana situata nella regione Umbria, ad una distanza di circa duecento chilometri a nord della città di Roma. Questa città, bagnata dal sole dell’Italia, si trova situata a mezzo pendio sul monte Subasio ad un’altezza media di circa 505 metri al di sopra del livello del mare. E’ una città romana molto antica. Incrocio delle strade che conducono da Foligno a Perugia o che scendono fino a Spoleto, la sua situazione geografica riveste, nel Medioevo, una grande importanza strategica.
Siccome questa città non ha mai conosciuto alcuna distruzione dovuta alle guerre fin dai tempi della morte di Francesco di Assisi (che si spense nella notte tra il 3 e il 4 ottobre 1226), chi percorre, oggi, i suoi vicoletti e le sue scalinate, godendo del sole che ne illumina le piazze, scopre una città molto simile a quella che conobbe Francesco nella sua vita.
Ma, prima d’inoltrarci nella conoscenza della vita di Francesco, compiamo un rapido giro d’orizzonte sul tempo che l’ha preceduto e su quello che l’ha visto nascere. Vedremo che i secoli XI e XII si caratterizzano per numerosi travagli che sconvolgono la società dell’epoca. Proprio così! Noi, uomini di XXI secolo, possiamo pensare orgogliosamente che l’umanità comincia finalmente a “muoversi” con la nostra epoca, con la nostra cultura subitaneamente universale, con le nostre tecnologie, con le nostre scienze mediche e con i nostri favolosi mezzi di comunicazione. Manteniamo la nostra testa “fredda” e “sulle spalle”. Il mondo non è nato ieri, con l’ultima pioggia. Vedremo che anche ai tempi di Francesco c’era un fermento notevole. Vediamo, dunque, brevemente, il “prima di Francesco d’Assisi”
L’alto Medio Evo ed il monachesimo
L’Alto Medio Evo comincia agli inizi del V secolo e si protrae fino all’XI secolo. Questo lungo periodo ha qualcosa di unico ed al contempo d’affascinante. In realtà, la fine dell’Antichità, in Occidente, si realizza attraverso un caos barbarico. Più di venti popolazioni barbariche si abbattono sull’Europa, distruggendo, rapinando, assassinando, ritornando ai loro paesi oppure installandosi nei luoghi di conquista. Uno dei migliori fattori di pacificazione di quest’Europa in fiamme sarà il Monachesimo, cioè l’universalità dei monaci.
Sono i monaci che intraprendono la ricostruzione dell’Europa. L’attribuzione a San Benedetto del titolo di patrono d’Europa è pienamente giustificata. I monaci pacificano, i monaci evangelizzano, i monaci finiscono per detenere un quasi-monopolio nel campo culturale, almeno per ciò che riguarda l’espressione scritta del sapere e dell’esperienza.
Tuttavia, l’espansione del cristianesimo conoscerà delle ore oscure all’inizio del Basso Medio Evo.
La Chiesa nel XII secolo
Gli storici sono d’accordo nel dire che il XII secolo rappresenta una delle epoche più tese e tormentate della storia della Chiesa d’Occidente. Infatti, in questo periodo, si riscontrano numerosi problemi a tutti i livelli della vita ecclesiale.
Al più alto grado della gerarchia della Chiesa, il periodo compreso fra l’elezione di Callisto II (1119) e quella di Innocenzo III * Innocenzo III sarà il papa che approverà la forma di vita di Francesco e dei suoi Fratelli. (1198), ossia 79 anni, vede l’elezione di tredici papi e di sei antipapi. Questi ultimi erano stati eletti nel corso di due lunghe serie di scismi la cui durata equivale a quarant’anni.
Riguardo ad una parte degli uomini di Chiesa, costoro non conducono sempre una vita Evangelica esemplare né rispettano i voti pronunciati. Un certo numero di preti e di canonici rifuggono dal rispettare il celibato consacrato. Inoltre, la corsa alle prebende, e anche alla loro accumulazione, si ritrova frequentemente nella Chiesa dell’epoca. Infine, appaiono numerose contraddizioni tra il discorso della Chiesa sulla povertà e le ricchezze che le abbazie ed i vescovadi non cessano di accumulare. Le conseguenze legate a questi contro - esempi di vita Evangelica e a queste contraddizioni, sono ancora più pericolose per i fedeli in quanto la clericizzazione progressiva dei membri del clero iniziata nel corso dell’XI secolo rende più visibile agli occhi del popolo gli uomini di Chiesa.
Così, anche se nella chiesa del XII secolo sono presenti degli autentici santi (bisogna citare Santa Ildegarda, San Bernardo, San Norberto, Sant’Alberto, San Pietro Molasco e molti altri…), rimane vera, tuttavia, la constatazione di una Chiesa attraversata da profonde inquietudini. La fede è quindi persa?. No, al contrario! Bisogna ricordarsi che la Chiesa non è composta soltanto dai membri del clero. In effetti, il corpo mistico di Cristo comprende tutto il popolo dei battezzati. Così, l’amore di Dio e la scoperta della sua conoscenza non sono per nulla un privilegio del clero. I laici del XII secolo esprimono la loro fame e la loro sete di cose divine * “Il desiderio di Dio è inscritto nel cuore dell’uomo, poiché l’uomo è stato creato da Dio e non per Dio; Dio non cessa di attirare l’uomo a lui ed è soltanto in Dio che l’uomo troverà la verità e la gioia che non cessa di cercare.” CEC 27, talvolta con un profondo rispetto ed in comunione con il magistero, come gli umiliati ed i reclusi, talvolta in perfetta contraddizione con esso, come le sette.
Gli umiliati ed i reclusi
Vediamo nascere dei movimenti come quello degli umiliati. Si tratta di artigiani della lana, riuniti non soltanto per le esigenze tecniche del loro mestiere, ma soprattutto per il desiderio di consacrare il loro lavoro da tessitori. Così si riuniscono, tra persone sposate e non, per delle preghiere comuni e degli scambi di esortazioni. Due fatti caratterizzano gli umiliati: innanzitutto, la messa in comune dei benefici dei loro lavori, affinché tutti possano avere alla pari quanto ci vuole per vivere (sull’esempio di ciò che aveva fatto la prima comunità cristiana di Gerusalemme). In secondo luogo, la realizzazione esclusiva di tessuti a basso prezzo, di qualità molto modesta, che permetteva ai più poveri di potersi vestire.
Al contempo, vediamo apparire delle mulieres religiosae * Mulieres religiosae: Termine generale con cui, nei documenti dell’epoca, sono designate le donne che, pur non avendo fatto una vera e propria professione monastica, vivono in modo religioso. , ossia delle donne che scelgono di vivere in comunità nelle loro case, castamente, lavorando con le loro mani e consacrandosi alle opere di misericordia * Marco Bartoli, Chiara di Assisi, Le Sarment Fayard, 1993, p. 134. . Questa nuova forma di vita comunitaria è anche il frutto di un profondo cambiamento delle mentalità. In effetti, la vita religiosa cerca di esprimersi nel cuore stesso delle città. E’ una novità poiché, fino ad allora, la vita religiosa si esprimeva, in maniera quasi – sistematica, nei monasteri separati dal mondo urbano. Altre donne scelgono una vita eremitica urbana. Sono le recluse. Fin da quando è esistito il monachesimo, c’erano sempre state delle eremite, ossia delle donne che avevano scelto una vita di solitudine e di preghiera in prossimità di un monastero. Come abbiamo appena precisato, i monasteri erano lontani dalle città. Invece, le recluse vanno a vivere in un reclusorium ( penitenziario), in un eremus (eremitaggio), o ancora in un carcerem (prigione), poiché la maggior parte di questi luoghi si trovava situata all’interno delle città o sempre vicina ad un centro abitato * Opera di Marco Bartoli (cit. sup.). . E queste recluse intrattengono delle relazioni intense con l’ambiente che le circonda.
Accanto a questi fenomeni spirituali, vissuti in armonia con il Vangelo, altre vedono la luce. Anch’esse tentano di rispondere al fervore e all’intensità di vita religiosa che nascevano presso i laici. Ma si oppongono in maniera radicale al corpo mistico di Cristo.
Le sette
Le sette nascono da uomini che, quasi tutti, si riferiscono al Vangelo. Sovente, conducono una vita povera, casta e austera. Questi missionari riformatori, come si presentano? “La loro tecnica fu presto conosciuta mantenne la sua efficacia per almeno due secoli. Cominciavano col mettere in evidenza gli errori frequenti ed innegabili del clero, ai quali opponevano la loro vita rude ed austera: il termine di comparazione era, evidentemente, la vita miserabile, tormentata e perseguitata di cristo, figlio di falegname, odiato dagli scribi e dai farisei, obbligato a fuggire di paese in paese, ed infine, crocefisso. Chi era più vicino a Lui, il sacerdote ricco, o l’eretico povero? Rispondere era facile, come era facile trarre la conclusione che l’eretico fosse il detentore della verità, custodita per secoli da qualche eletto ed ora rimessa in luce, una verità salvatrice, l’unica via possibile di redenzione” * Raoul Manselli, San Francesco d’Assisi, Edizioni Francescane, 1981, p. 11..
E’ evidente che la critica al clero, per quanto possa essere sgradevole, non basta per fare di un uomo un eretico. Questa critica si accompagnava ad una visione di Dio e del mondo veramente particolare. Citeremo, per esempio, la più temibile setta dell’epoca, temibile sia per la chiesa che per la società: la setta Catara * L’eresia Catara si è propagata soprattutto nel Sud della Francia e nel Nord dell’Italia. Ai tempi di Francesco, la città di Spoleto, a 40 chilometri da Assisi, era un importante centro Cataro. L’eresia Catara non aveva potuto estendersi nel resto dell’Europa grazie all’“eliminazione” sistematica dei Catari da parte dei poteri civili vigenti. .
I Catari avevano una concezione dualista del mondo, secondo cui esistono due principi uguali e nettamente opposti: Dio a capo del regno dello spirito, e Satana a capo del regno della materia. Ora, siccome i nostri corpi sono materia, ogni nascita provoca una proliferazione dell’impero di Satana. In tal modo, bisogna incoraggiare ogni atto che minaccia questa vita materiale, come l’aborto, l’infanticidio, o il suicidio. Questa teoria negava, evidentemente, la divinità di Dio – fatto – uomo, e anche dei punti essenziali della vita cristiana, come l’Amore vissuto nel matrimonio. Per quanto riguarda l’aldilà e più precisamente quanto concerne la nostra vita dopo la morte, si poteva acquisire la certezza del paradiso se si riusciva ad uccidere il proprio corpo e ricevere, appena prima di morire, la benedizione di un cataro. Una tale concezione eliminava completamente la carità del fedele ed escludeva totalmente la misericordia divina.
E’ difficile oggi immaginare il fascino che l’eresia catara (così come quelle di altre sette) ha potuto esercitare sulle popolazioni. L’austerità dei catari, ossia dei puri, costituiva un elemento di rispetto e quindi di ammirazione * Non perdiamo di vista l’affermazione iniziale: “Gli uomini hanno fame e sete di cose divine”. Questo era vero, ed è sempre, naturalmente vero, anche inconsciamente. . Inoltre, la predicazione era fatta in lingua volgare, con un tono semplice, accessibile a tutti. Infine, numerosi signori e borghesi trovavano piuttosto gradevole la formula catara: posso vivere come un miscredente tutta la mia vita. La sola cosa necessaria per avere il mio posto in paradiso, è di accorciare la durata della mia vita quando sento che arriva al suo termine e di ricevere, prima del mio suicidio, la benedizione di un cataro.
Simultaneamente, mentre queste forme di energia si esprimono nelle direzioni più diverse, sorge un nuovo fenomeno: la nascita e l’espansione delle città.
Le città ed il movimento comunale
L’essenziale del sistema economico e sociale dell’Alto Medioevo si appoggia sulle campagne. Invece, dopo l’anno mille, diversi fattori danno alle città un’importanza fino ad allora sconosciuta ed implicano dei cambiamenti profondi nei rapporti sociali.
Per quattro secoli il mondo ha vissuto secondo il sistema feudale, ossia un mondo caratterizzato sul piano sociale da delle relazioni iper – gerarchizzate. In cima alla piramide gerarchica troviamo l’imperatore o il re. Ad un livello immediatamente inferiore, troviamo i principi ed i duchi, che prestano giuramento di fedeltà al loro sovrano. Poi, più in basso, i signori, che fanno lo stesso. Infine, al gradino più basso della scala sociale, troviamo il servo, che fa giuramento di aiuto economico e sociale. “Questa società si basa innanzitutto sul segno della stabilità. E’ radicata al suolo. Nessuno può abbandonare la terra a cui è legato: il servo non può disertarla, il signore non può venderla. Il maniero (abitazione del signore), la masseria (quella del contadino), il podere (la terra che egli coltivava (in francese, “manse”)) ed il manente (il contadino), sono tutti termini della vita quotidiana dell’epoca che derivano dal termine latino “manere”, che significa restare, dimorare.
L’accrescimento demografico dopo l’anno mille causa la nascita di città o la crescita di quelle già esistenti. Allora, gli abitanti di una stessa città si uniscono per amministrare la vita comune * Il comune: il termine è stato creato in quest’epoca. Indica l’associazione dei borghesi, il cui senso differisce da quello di oggi (borghese significava “abitanti di uno stesso borgo”). ed acquistare autonomia rispetto all’autorità suprema, l’Impero, autorità, tra l’altro, completamente assente dalla vita politica italiana per più di un quarto di secolo (tra il 1125 ed il 1152). Gli abitanti eleggono allora periodicamente alcuni di loro per dirigere il comune. Non bisogna vedere il questo aspetto elettivo, che abbandona completamente il carattere del diritto divino dell’autorità, gli inizi di una qualsiasi democrazia. Esiste infatti una forte volontà di rimessa in causa di ogni privilegio nobiliare. I borghesi vogliono amministrarsi da soli, senza dover rendere conto a nessuno. Questa determinazione arriverà al suo scopo, talvolta alla fine di lotte tremende tra nobili e borghesi. Una volta acquisita l’indipendenza comunale, il comune cercherà di estendere il suo territorio di influenza e, in questo modo, entrerà in conflitto con i comuni limitrofi, che hanno sovente gli stessi obbiettivi.
Il giovane Francesco Bernardone vivrà tutti questi avvenimenti. Francesco ha 16 anni quando gli abitanti di Assisi assediano e distruggono la fortezza feudale ed imperiale che domina la città. Quando ha 18 anni viene proclamata la nascita del comune. A 20 anni parte in guerra con molti altri compagni, contro Perugia, la città vicina, che dista 20 chilometri da Assisi. Li’, sarà fatto prigioniero e la sua incarcerazione durerà un anno.
Ma non andiamo troppo velocemente. Ci resta da scoprire un aspetto importante dell’epoca di Francesco. Se le città partono in guerra contro le loro vicine, hanno bisogno, per finanziare i conflitti, di capitali che trovano presso gli abitanti più ricchi del comune: i mercanti.
I mercanti
Sotto il titolo di mercanti troviamo principalmente quattro categorie di borghesi: gli artigiani, che producono essi stessi dei beni e li vendono; i piccolo negozianti, che comprano dei prodotti e li rivendono senza apportarvi alcuna trasformazione; gli industriali dell’epoca, che fanno lavorare tutta una parte della popolazione della città; infine, i grandi negozianti, tra i quali troviamo al primo posto (in termini di rendimento) i mercanti di stoffe di lusso. Francesco era figlio di un uomo che apparteneva a quest’ultima categoria * “Tutte le fonti, di qualsiasi origine, carattere e provenienza concordano su un punto: Francesco d’Assisi era di famiglia ricca, molto ricca, appartenente al più alto livello della classe mercantile della città” Raoul Manselli, San Francesco d’Assisi, Edizioni Francescane 1981, p. 33. . Riguardo ai mercanti, bisogna sottolineare tre elementi principali che ci permetteranno, tra l’altro, di capire meglio alcune scelte di vita o alcuni comportamenti di Francesco.
Il primo elemento che merita di essere sottolineato si chiama “denaro”. Degli uomini di quell’epoca sono pronti a sacrificare molte cose - e la parola “sacrificare” non è troppo forte – per avere del denaro, e sempre in maggior quantità. Delle testimonianze dei cronachisti ci riferiscono le condizioni abominevoli inflitte alle persone che lavoravano per i mercanti. Questi sovente spadroneggiano sui salari, sugli affitti e sui prezzi e danno ai loro impiegati il minimo necessario per non morire. Questo capitalismo a oltranza sarà severamente condannato dalla Chiesa: “ Dappertutto, o quasi, si è insinuato il crimine dell’usura, al punto che molti trascurano gli altri affari per dedicarsi all’usura come se fosse lecita, senza fare nessuna attenzione alle condanne che la colpiscono nei due Testamenti. Di conseguenza, noi deliberiamo che gli usurai notori non potranno essere ammessi al sacramento dell’altare e che, se muoiono in questo peccato, non riceveranno la sepoltura cristiana.” * Canone 25 del concilio Laterano III.
Il secondo elemento che merita di essere sottolineato deriva direttamente dal primo: il monopolio delle cariche municipali a profitto dei più ricchi. E’ inutile sognare: anche se tutto il popolo si unisce per rovesciare gli antichi poteri politici nella speranza di una vita migliore, più giusta e fraterna, solo pochi traggono beneficio da questo rovesciamento e la speranza di una vita migliore e più fraterna si trasforma in dura e amara realtà per gli altri. Così, coloro che dirigono la vita economica si arrogano dei nuovi diritti e monopolizzano la vita politica della città. Questo monopolio diventa ancora più facile in alcune città dove alcuni borgomastri e scabini non esitano a utilizzare il sistema della cooptazione rimpiazzando quello dell’elezione per rinnovare i loro membri. Questo permette ai padri di famiglia di accarezzare la speranza di vedere i loro figli occupare i posti di capi della città nel futuro. Così, possiamo capire meglio la collera del mercante di Assisi, Pietro Bernardone, al vedere suo figlio primogenito, Francesco, “prendere una cattiva strada”. Che delusione per il mercante! Che clamorosa umiliazione pubblica per l’uomo più in vista della città! Che conseguenze nefaste, in prospettiva, per il futuro della famiglia nell’ambito della città! Soprattutto che in certi ambienti, e forse particolarmente a quell’epoca, la sensibilità all’opinione pubblica è estrema.
Il terzo aspetto relativo a questo mondo di mercanti riguarda il desiderio di rivaleggiare con la nobiltà. Trattando prodotti di lusso, il mercante di stoffe trova una buona parte della clientela tra i nobili e viene affascinato dallo stile di vita proprio a questa classe sociale. E’ vero che, da un certo punto di vista, i borghesi sono già vicini alla nobiltà per le loro disponibilità finanziarie e anche per la cultura: In effetti, a quest’epoca, i mercanti, per i loro affari, hanno bisogno di saper leggere e scrivere, sia in lingua volgare che in latino, perché tutti gli atti notarili sono scritti in latino. I mercanti allora cercano di assomigliare ai nobili in dei campi che fino ad allora restavano riservati a questi ultimi: la vita cortese e le armi.
La vita cortese: tema essenziale della vita cortese era l’amor cortese, devozione totale ed assoluta alla dama scelta. Si trattava di un legame profondo ma spirituale in cui colui che amava ne aveva tutta la gioia, che raggiungeva la sua pienezza se l’amata corrispondeva al suo amore. Questo amor cortese non bastava a rendere cortesi. Doveva essere accompagnato da tutta una serie di altre qualità che lo arricchivano e lo completavano. La prima, è che l’amante fosse “giovane”, ossia, che avesse le caratteristiche di eleganza, di finezza, di coraggio e di ardita spontaneità di un giovane in spirito. E poi ci voleva ancora un’altra qualità, la “larghezza”, ossia la liberalità, la generosità nel dono, non soltanto verso la propria dama, ma anche verso tutti gli altri. Il coronamento della cortesia si trovava nell’arte di saper dichiarare, nel modo più elegante possibile, i propri sentimenti alla dama, attraverso il canto accompagnato dalla musica * Linee estratte dall’opera di Raoul Manselli (cit.)..
Le armi: fino ad allora, la società era rigorosamente divisa nei tre ordini * I tre ordini costituivano una delle strutture portanti della società medievale.: i preti, i guerrieri e gli altri. I mercanti, che cercavano sempre di più di identificarsi con la nobiltà, cercano di ottenere l’accesso al privilegio di maneggiare le armi. E’ ovvio che questo non può piacere a tutti. Un vescovo del XII secolo, Ottone di Frisinga, offre una descrizione famosa dei comuni italiani piena di altero disprezzo. Vi sottolineava questo fatto, che lui giudicava tra i più scandalosi, che i mercanti avessero l’audacia di cingere il cinturone dei cavalieri.
Francesco Bernardone, figlio di un mercante, oserà desiderare di essere cortese e di diventare cavaliere. Anche se esercitò il mestiere di suo padre, lo fece in una maniera ben diversa, perché era più gioioso e più generoso di lui * 3 S 2. Dedito ai giochi ed alle canzoni, di giorno e di notte, percorreva la città di Assisi in compagnia dei suoi coetanei. Si mostrava molto largo nello spendere tutto ciò che poteva avere o guadagnare e lo dilapidava in banchetti o in altre spese dello sesso genere. Tuttavia, sapeva mostrarsi cortese negli atti e nelle parole. Un giorno, mentre è nella bottega di suo padre per vendere dei tessuti, un povero entra e gli domanda l’elemosina per l’amore di Dio. Trattenuto dal desiderio di guadagno e dalla direzione degli affari (in cui dimostra, tra l’altro, di essere molto abile), gli rifiuta l’elemosina. Partito il mendicante, si rimprovera di esser stato volgare: “Se – si dice – questo povero ti avesse domandato qualche cosa in nome di un grande conte o di un barone, a colpo sicuro gli avresti dato ciò che ti chiedeva. A maggior ragione, per il Re dei Re ed il Signore di tutti avresti dovuto farlo.”… Qualche anno più tardi, un nobile di Assisi prepara tutto il suo equipaggiamento per andare in Puglia e li’ guadagnare più denaro e più onori. Avendolo saputo, Francesco vuole partire con lui e, nella speranza di esser fatto cavaliere, si prepara gli abiti più preziosi possibile. Inferiore al suo concittadino sul piano della ricchezza, vuole essergli superiore per il fasto. Ma, lungo la strada, incontra un cavaliere povero, ossia un cavaliere autentico il cui corredo è scarsissimo per mancanza di denaro. Quando questo cavaliere scorge il nostro Francesco, si vergogna della sua situazione. Lui non ha nemmeno il cavallo. Allora la vergogna, curiosamente, si inversa. Francesco si accorge dell’imbarazzo che la sua sfolgorante ricchezza provoca al vero cavaliere e gli dona tutta la sua attrezzatura. Gli da tutto.
Vediamo quindi questo giovane, Francesco, la cui personalità cerca se stessa e, nello stesso tempo, si afferma. Cerca la vana gloria e, simultaneamente, si mostra debordante di generosità. Mentre si mostra abile negli affari, il suo amore per Dio lo porta ad un profondo rispetto per il prossimo. Ed un avvenimento, o più precisamente un incontro, provocherà un cambiamento radicale nella sua vita e nella sua visione del mondo. L’incontro con un lebbroso.
La conversione
Rimettiamoci bene nel contesto dell’epoca per tutto quello che riguarda la lebbra. La maggior parte delle norme del giudaismo relative al comportamento della società riguardo ai lebbrosi passano nel cristianesimo. Troviamo nell’Antico Testamento (Lv 13 1-17, 13 45-46, 14 1-32) delle prescrizioni riguardo l’impurità dei lebbrosi che hanno comportato l’amalgama tra la lebbra del corpo e la lebbra dell’anima. Il lebbroso era per forza un grande peccatore, il cui peccato si manifestava a tutti attraverso la visibilità della lebbra. Accanto a questo bando di tipo religioso, infieriva un vero e proprio esilio civile. Questo consisteva nell’esclusione del malato dal gruppo sociale. Al lebbroso veniva imposto di vivere il un luogo a lui assegnato, per forza in un luogo molto isolato. Il lebbroso non poteva più entrare nelle città. Se si spostava, doveva fare attenzione a non percorrere le strade o le vie più frequentate e , in ogni caso, doveva avvertire della sua presenza suonando un campanello o un altro strumento. Si trattava, quindi, di un vero e proprio bando * Il bando era una pena politica criminale infamante, che consisteva nel vietare a qualcuno il soggiorno nel suo proprio paese o in un luogo qualsiasi. , imposto a delle persone che non avevano commesso alcun crimine, se non “quello” di essere lebbrose.
Fino ad allora * Questo episodio della vita di Francesco accade nel corso dell’estate 1205. Francesco ha 23 anni. la vista dei lebbrosi era per Francesco talmente penosa che rifiutava di vederli e persino di avvicinarsi al luogo dove abitavano. Se per caso gli capitava di vederli lungo il suo cammino o se era obbligato a passare vicino alle loro abitazioni, si girava dall’altra parte per non subire questa immonda visione e si tappava il naso con le dita. Capite: l’odore, le questa paura del contagio. Se capitava a Francesco di far loro l’elemosina, diciamolo semplicemente, era sempre attraverso l’intermediario di un’altra persona.
Ma un giorno, mentre Francesco si spostava a cavallo nei dintorni di Assisi, un lebbroso gli venne incontro. Il povero miserabile, vedendo il bel cavaliere grida: “Lebbroso, lebbroso… Abbiate pietà di un povero lebbroso”. Normalmente, Francesco sarebbe tornato indietro e avrebbe fatto galoppare il suo cavallo per allontanarsi al più presto possibile da quell’orrore. Invece, Francesco mette il piede a terra. Si avvicina al lebbroso e gli da una moneta d’argento. Il suo sguardo incrocia quello del povero ammalato. Nello sguardo del lebbroso si può leggere sia la speranza dell’elemosina, sia il desiderio di ricevere uno sguardo affettuoso, un sorriso che gli permetta di esistere. Allora Francesco si avvicina. Si avvicina ancora di più. Prende la mano del lebbroso e la bacia. Qualche secondo ancora, gli sguardi si incrociano. In silenzio, abbozzano un sorriso. Francesco raggiunge la sua cavalcatura, rimasta a qualche passo, camminando all’indietro e continuando a fissare il lebbroso negli occhi. Francesco sente battere il cuore nel petto. Ha un nodo alla gola, non tanto per l’atto che ha appena compiuto, quanto per la scoperta che il Signore gli ha appena offerto. Allora il lebbroso ha un gesto di ringraziamento. Un gesto che compiono solo gli uomini. Porta alle labbra un dito e manda un bacio di pace a questo cavaliere sconosciuto. Francesco risale a cavallo e prosegue per la sua strada. Non attenderà a lungo, solo qualche giorno, precisa la leggenda dei tre compagni * 3 S 11 b., per procurarsi molto denaro e andare all’ospizio dei lebbrosi per far loro l’elemosina e curarli.
Verso la fine della sua vita, Francesco riassumerà nelle prime righe del suo testamento l’aspetto decisivo di quest’episodio della sua vita: “Il Signore diede a me, fratello Francesco, la grazia di cominciare a far penitenza cosi: quando vivevo nei peccati, mi riusciva insopportabilmente increscioso vedere i lebbrosi. Ma il Signore stesso mi condusse tra loro, e io li trattai con generosità e tenerezza. Al momento del commiato, ciò che prima mi pareva amaro, mi si cambiò in dolcezza per l’anima e per il corpo. In seguito a questa esperienza passò poco tempo, e lasciai per sempre il mondo.” * Test 1-2-3..
La testimonianza di Francesco, sempre concisa e sintetica, esprime l’avvenimento all’origine della sua conversione. Quest’avvenimento è l’incontro con i lebbrosi. Conseguenza di questo incontro è la sua conversione. Francesco era quindi tanto pagano da aver bisogno di convertirsi? Francesco era battezzato e abbiamo visto prima che era già capace di fare molte opere buone! La conversione di Francesco sta nel rovesciamento dei valori, nel rovesciamento della visione del mondo definita da lui stesso nell’antitesi amarezza – dolcezza. Non vede più le cose o gli esseri allo stesso modo. Nell’episodio dell’incontro con il lebbroso, questi resta tale. Non è da meno di quelli che Francesco ha potuto vedere fino ad allora. E dopo l’episodio dell’incontro, il lebbroso lo è tanto quanto prima. Ciò che è cambiato, è lo sguardo di Francesco verso il suo prossimo. E’ questo rovesciamento di valori che lo chiama alla conversione. Potremmo concludere precisando che Francesco ha cominciato a rispondere al suo Creatore che lo chiamava: “Dove sei?” * Gn 3 9. Bisogna sottolineare che questa domanda che Dio pone all’uomo nella Genesi è la prima parola che gli rivolge: “Dove sei?” E’ una domanda che pone a ciascuno di noi. Francesco, retrospettivamente, nel suo testamento, ha risposto: “…quando vivevo nei peccati…”.. Dopo, ha obbedito al fermo invito di Cristo: “Pentitevi, perché il regno di cieli è vicino” * Mt 4 17. Questo invito espresso all’imperativo e al plurale (si rivolge all’umanità intera) è la prima parola di Cristo rivolta all’uomo e riportata nel Vangelo di Matteo. Francesco attribuisce molto giustamente la sua conversione al Signore: “ Ma il Signore stesso mi condusse tra loro (i lebbrosi), e io li trattai con generosità e tenerezza.” Questa è misericordia. Non basta fare l’elemosina. Non basta curare. Bisogna fare tutto questo con la piena adesione del cuore.. Infine, ha detto “si” alla chiamata pressante di Cristo: “Venite dietro a me” * Mt 4 19. Seconda parola di Cristo rivolta all’uomo nel Vangelo. Quindi, convertirsi è la premessa indispensabile per seguire Cristo. Quindi, dopo che uno ha obbedito a questo imperativo può seguirlo. Francesco lo farà e troverà il mondo trasformato: “Al momento del commiato, ciò che prima mi pareva amaro, mi si cambiò in dolcezza per l’anima e per il corpo. In seguito a questa esperienza passò poco tempo, e lasciai per sempre il mondo.”.
A questa domanda e a questi inviti insistenti * A questo inviti, l’uomo risponde con la Fede. “La fede è la risposta dell’uomo a Dio che si rivela e si dona a lui, e che porta, nello stesso tempo, una luce sovrabbondante all’uomo in ricerca del senso ultimo della sua vita.” CEC 26, delle persone hanno cercato, da otto secoli, di rispondere vivendo l’ideale evangelico alla maniera di Francesco. Prima di cominciare a far conoscenza con la regola dell’Ordine Francescano secolare, vediamo come è nato quest’Ordine.
L’ORDINE FRANCESCANO SECOLARE
Le origini
Come forse già sai, fu durante l’anno 1208 che Francesco vide arrivare da lui i primi fratelli. Dopo che il Signore gli ebbe dato questi fratelli, Francesco fondò l’Ordine dei Frati Minori.
Qualche tempo dopo, durante la notte delle palme dell’anno 1211 * O 1212., una ragazza di una nobile famiglia di Assisi fugge da casa sua per raggiungere Francesco. E’ Chiara Offreduccio, che diventerà Santa Chiara di Assisi e che fonderà l’ordine delle povere (le Clarisse).
Nel 1212 * O, allo stato attuale delle conoscenze, nel 1213 o 1214., Francesco si interroga. Deve dedicarsi soltanto alla preghiera, o occuparsi talvolta anche della predicazione? Allora fa chiedere a Chiara ed a fratello Silvestro, in cui Francesco ha una grande fiducia, di indicargli quale di queste due strade deve adottare. Santa Chiara e fratello Silvestro, dopo aver entrambi pregato in comunità, danno la stessa risposta: “La volontà di Dio è che tu vada a predicare per il mondo, perché non ti ha eletto per te solo, ma anche per la salvezza degli altri.” Francesco parte quindi immediatamente a predicare sulle strade dell’Umbria. Un giorno, mentre predicava nel piccolo villaggio di Cannara, a dodici chilometri da Assisi, gli uomini e le donne di questo villaggio, toccati dal fervore del Poverello, vogliono abbandonare il loro villaggio, il loro coniuge e i loro figli per seguirlo. Ora, anche se Francesco chiama tutti alla santità, non vuole, tuttavia, che le famiglie si spezzino e che i bambini siano abbandonati. Francesco li trattiene nel loro ardore, incoraggiandoli a non abbandonare il loro desiderio di una vita che segua le vie del Signore: “Non abbiate fretta, non partite, io regolerò ciò che dovete fare per la salvezza delle vostre anime.” * Fior 16.. A partire da questo istante, “Francesco si mette a riflettere con maggiore insistenza sul modo di conciliare questi due precetti, entrambi imperiosi: quello del dovere che trattiene i cristiani nel mondo e la chiamata del Maestro che gli chiede di uscirne per camminare dietro a lui, portando la sua croce.” * Edizioni Francescane 1943, Storia del Terz’Ordine, Pierre Péano O.F.M., p. 6.. Gli viene allora l’idea di fondare un Ordine per i laici o, più precisamente, per le persone che non appartengono già ai due primi Ordini già fondati * Il Terz’Ordine annovera, in effetti, numerosi sacerdoti. * La leggenda dei tre compagni (15 60) precisa: “Fu così che Francesco, perfetto devoto della Santa Trinità, rinnovò la Chiesa di Dio con tre Ordini, come prefigurato attravarso la riparazione di tre chiese.”. Questa innovazione in questo campo sarà concretizzata verso il 1221, dopo il suo ritorno dalla Siria.
Questo terzo Ordine si chiamerà, dapprima, “l’Ordine dei penitenti, poi “Terz’Ordine” ed infine, “Ordine Francescano Secolare”. Mentre il significato del secondo e del terzo nome si indovinano facilmente, il primo, invece, merita una spiegazione.
L’Ordine dei penitenti
Il termine penitenza è la forma italiana della parola latina paenitentia con il quale i padri della Chiesa hanno tradotto il termine greco metanoïa che trovavano nel Nuovo Testamento. Metanoïa significa cambiamento, conversione. Solamente più tardi la parola penitenza è stata usata per designare le pratiche ascetiche attraverso cui si manifesta la volontà di conversione.
D’altra parte, all’inizio del XIII secolo, i termini penitenti e penitenza prendono un valore tecnico la cui origine data a circa mille anni. In effetti, a partire dal III secolo, quando dei pubblici peccatori richiedevano di essere riammessi nella comunità cristiana, la Chiesa imponeva loro un certo numero di obbligazioni. Queste obbligazioni, sempre molto strette, dovevano sia mantenere in essi lo spirito di vera conversione, sia essere manifeste agli occhi della comunità. Li si chiamava, allora “penitenti” e si considerava che, da un certo punto di vista, la Chiesa fosse composta da tre ordini: quello dei catecumeni, quello dei penitenti e quello dei battezzati.
Nel XII e all’inizio del XIII secolo, quando dei cristiani desideravano esprimere la loro fede attraverso una vita cristiana più fervente, adottavano sovente, ma questa volta volontariamente, lo spirito di conversione evangelica che la Chiesa auspicava per i pubblici penitenti e li obbligazioni definite per loro. Per designare questi cristiani ferventi, veniva di solito utilizzata l’espressione di “penitenti residenti nelle loro case”.
Per questo, verso il 1221, Francesco redige una lettera destinata a tutti i fedeli, che contiene due capitoli in forte opposizione: “Coloro che hanno scelto la via dei penitenti” e “Coloro che rifiutano la via dei penitenti”. Questa lettera costituisce, in un certo qual modo, il preambolo e l’inizio della regola dell’Ordine Francescano Secolare. Ti invito a conoscere questa lettera di cui troverai il testo in una raccolta di scritti di San Francesco. In questa lettera scoprirai tutto San Francesco con la sua teologia e la dinamica della sua conversione.
Dopo questa breve presentazione dell’Ordine dei penitenti, sappi che, anche se il tempo passa ed i termini cambiano, lo spirito iniziale dato da San Francesco resta lo stesso. Potremo, così, rispondere alla domanda seguente:
Che cos’è l’Ordine Francescano Secolare?
L’Ordine Francescano Secolare è un Ordine * Un Ordine è un gruppo ordinato e disciplinato a cui la Chiesa conferisce questo titolo e questa qualità. religioso * Non si tratta di un Ordine DI RELIGIOSI. In effetti, il termine – Religioso – è strettamente riservato a coloro che, dopo essersi ritirati dal mondo, conducono una vita comune e fanno voto di povertà, di castità e di obbedienza. Ora, coloro che entrano nell’Ordine Francescano Secolare non si ritirano dal mondo e non fanno alcun voto. E’ stato il Papa Benedetto XV (+1992), anch’egli terziario francescano che, nella sua enciclica Sacra Propediem, ha utilizzato il termine Religioso parlando del Terz’Ordine: “Per primo, Francesco di Assisi immaginò e realizzò, con l’aiuto di Dio, una cosa a cui nessu ordine regolare aveva mai pensato: Rendere la vita religiosa accessibile a tutti”. Il Papa Pio XII riprenderà ques’espressione nella sua enciclica Rite expiatis: “…Ordine religioso, che per una innovazione non è tenuto da alcun voto di religione…”, composto da persone che, senza abbandonare il mondo, né fare alcun voto, fanno professione di tendere alla perfezione cristiana secondo lo spirito evangelico di San Francesco, attraverso il compimento del loro dovere di Stato e l’osservanza di una regola approvata per loro dal Sovrano Pontefice.
La Regola
Già due volte è stata scritta la parola regola. Bisogna sapere che a seguito della lettera del 1221 a tutti i fedeli , tre regole sono state successivamente scritte, e la più recente abrogava e rimpiazzava sempre la precedente. La nostra regola attuale è stata approvata e confermata dal nostro sovrano Pontefice, Papa Paolo VI il 24 giugno 1978. I due termini approvare e confermare potrebbero sembrare una ridondanza inutile. Non è così. Approvare, significa riconoscere che lo stile di vita francescano è evangelico. Confermare, significa impegnare la Chiesa, incaricando i francescani a vivere questo stile di vita di cui la Chiesa prende la responsabilità.
Assetati di libertà, non ci piace sempre, in modo naturale o spontaneo, avere una regola da seguire. Preferiamo sovente affidarci al nostro proprio giudizio. Di qui possono derivare delle domande inevitabili riguardo la regola: la regola è utile? E se si, è veramente indispensabile? Lasciamo Tommaso da Celano, biografo di San Francesco, ed il nostro Sovrano Pontefice, Papa Giovanni Paolo II apportarci le loro risposte a queste domande.
“Al Padre Santissimo (Francesco) fu un giorno concessa dal cielo una visione che riguardava la Regola. Era l’epoca in cui i fratelli discutevano tra loro sull’approvazione della Regola, ed il santo stesso era vivamente preoccupato da questa questione. Gli sembrò, in sogno, di aver raccolto da terra delle minuscole briciole di pane e di doverle distribuire ai suoi fratelli affamati che si stringevano numerosi attorno a lui. –siccome esitava a distribuire delle briciole così piccole che avrebbero potuto scivolare via tra le dita, una voce dal cielo gli disse: “Francesco, con tutte queste briciole fai un’ostia e potrai dare da mangiare a tutti coloro che lo vorranno.” Così fece, ma ecco che tutti quelli che la ricevevano senza devozione o che la trattavano senza riguardi, dopo averla ricevuta, apparivano subito nettamente marcati dalla lebbra. Al mattino, il santo racconta tutto ai suoi compagni, dispiaciuti di non poterne decifrare il mistero. Ma, la sera, mentre vegliava e pregava, sentì una voce che gli diceva, dall’alto del cielo: “Francesco, le briciole che hai visto la scorsa notte sono le parole del Vangelo, l’ostia rappresenta la Regola e la lebbra il peccato.” * 1 C 159 209
Il 19 giugno 1986, il nostro Papa Giovanni Paolo II si rivolgeva all’Ordine Francescano Secolare in questi termini: “Amate, studiate, vivete la vostra regola perché i valori che vi sono contenuti sono eminentemente evangelici. Vivete questi valori nella fraternità e viveteli nel mondo dove, per la vostra vocazione secolare, siete impegnati e radicati. Vivete questi valori evangelici nelle vostre famiglie, trasmettendo la fede attraverso la preghiera, l’esempio e l’educazione e vivete le esigenze evangeliche dell’amore reciproco, della fedeltà e del rispetto per la vita.”
La Regola, condensato evangelico destinato ai fratelli secolari di San Francesco, è composta da tre capitoli:
Capitolo I: L’Ordine Francescano Secolare (art. 1 – 3)
Capitolo II: Forma di vita (art. 4 – 19)
Capitolo III: La vita in fraternità (art. 20 – 26)
- Struttura della fraternità
- Ingresso in fraternità
- Gli incontri
Gli articoli che compongono il secondo capitolo della Regola saranno studiati in tutto questo manuale di formazione. Il terzo capitolo sarà studiato alla fine di questo manuale. Per il momento, ci occuperemo dei tre articoli del primo capitolo.
L’Ordine Francescano Secolare * L’Ordine Francescano Secolare viene ugualmente designato con gli appellativi seguenti: “Fraternità secolare Francescana” o ancora, secondo l’espressione precedente “Terz’Ordine Francescano”, con la sigla T.O.F. In Francia, l’Ordine viene sovente chiamato “la fraternità di San Francesco”.
Articolo 1.
In delle forme e delle espressioni diverse, ma in comunione e reciprocità vitale, vogliono incarnare oggi, nella vita e nella missione della Chiesa * Vaticano II, Decreto sull’apostolato dei laici, § 4. “La spiritualità dei laici deve rivestire delle caratteristiche particolari secondo le condizioni di vita di ciascuno: vita coniugale e familiare, celibato e vedovanza, stato di malattia, attività professionale e sociale. Ciascuno deve sviluppare senza sosta le qualità ed i doni ricevuti ed in particolare quelli adatti alle sue condizioni di vita, e servirsi dei doni personali dello Spirito Santo. Infine, i laici che secondo la loro particolare vocazione si sono uniti a delle associazioni o istituti approvati dalla Chiesa devono sforzarsi di realizzare sempre meglio i caratteri della sipritualità che è loro propria. Che stimino molto la competenza professionale, il senso familiare e civico, le virtù che riguardano la vita sociale, quali la probità, lo spirito di giustizia, la sincerità, la delicatezza, la forza d’animo. Senza di esse, non esiste una vera vita cristiana…”, il carisma proprio di San Francesco d’Assisi.
Nel primo paragrafo viene innanzitutto sottolineato l’aspetto di famiglia spirituale. Non si tratta, quindi, solamente dell’Ordine Francescano Secolare, argomento di queste linee introduttive, ma di tutta la famiglia francescana: Frati Minori, Clarisse, Frati Secolari e anche di tutti gli altri rami che sono potuti nascere in seguito: Capuccini, Francescani di diverse obbedienze, …
Si tratta, inoltre, di una famiglia spirituale suscitata dallo Spirito Santo nella Chiesa. La famiglia francescana non ha la vocazione di rivaleggiare con la Chiesa di Cristo, ma di farne pienamente parte. L’immagine sovente utilizzata per significare sia quest’appartenenza alla Chiesa, sia questa colorazione particolare di San Francesco d’Assisi è quella dell’orchestra: l’orchestra rappresenta la Chiesa, e suona una sinfonia, quella della vita evangelica. Appartenere alla famiglia francescana, significa suonare con l'insieme dell'orchestra la stessa sinfonia, ma di farlo con uno strumento particolare.
Noi parliamo sovente dell’Ordine Francescano Secolare come del terz’Ordine. Se l’O.F.S. * Utilizzeremo ormai indistintamente l’appellazione “Ordine Francescano Secolare” o la sua abbreviazione “O.F.S.” è il terzo degli Ordini fondati da Francesco, occupa questo posto di terzo soltanto in termine di cronologia nella creazione di questi ordini. In effetti, nessuno di essi occupa il primo posto, ma ciascuno ha la vocazione a vivere in comunione e reciprocità vitale con gli altri.
Articolo 2.
Secondo quanto abbiamo già precedentemente precisato, l’O.F.S. è aperto a tutti i cristiani che non appartengono già ai due primi Ordini (e non soltanto ai laici * Cost. Gen. 35 1: “I sacerdoti, che si riconoscono chiamati dallo Spirito Santo a partecipare al carisma di San Francesco nella Fraternità Secolare, vi trovano un’attenzione particolare nei loro riguardi, secondo la loro missione in mezzo al popolo di Dio.”) * Aperto a tutti i cristiani, tranne a “coloro che sono impegnati pubblicamente in un’altra famiglia religiosa”. Cost. Gen. 2 1.. Quest’aspetto resta una costante fin dall’origine, e così troviamo, tra le figure conosciute dell’O.F.S. dei battezzati molto diversi: i Santi patroni dell’Ordine (oltre a San Francesco), che sono San Luigi di Francia (+1270) e Santa Elisabetta di Ungheria (+1231).
Tra i papi recenti: Pio IX (+1878), Leone XIII (+1903), Pio X (+1914), Benedetto XV (+1922), Pio XI (+1939), Pio XII (+1958). Tra i Santi ed i Beati: Sant Ivo di Tréguier (+1303), Santa Giovanna d’Arco (+1431), San Tommaso Moro (+1535), Santa Angela Merici (+1540), Sant Ignazio di Loyola (+1556), San Vincenzo da Paola (+1660), San Giovanni Eudes (+1680), San Giovanni Battista della Salle (+1719), San Giovanni Maria Vianney, curato d’Ars (+1859), San Giovanni Bosco (+1888), Beato Antonio Chevrier. Tra le altre figure: Raffaello (+1520), Michelangelo (+1564), Palestrina (+1594), Galvani (+1798), Volta (+1827), Madame Martin (Madre di Santa Teresa del Bambino Gesù), Leone Harmel (+1915), Marta Robin (+1981)… e te che leggi queste righe.
L’articolo due parla anche di impegno. Tratteremo più diffusamente dell’impegno nell’ultimo capitolo di questo manuale. Tuttavia, precisiamo fin d’ora che la traduzione letterale del termine darebbe: “per professione seguono accanitamente la vita secondo il Vangelo, come San Francesco”, sapendo che in latino il termine professione si riferisce ad un impegno pubblico.
L’ultima frase dell’articolo precisa ugualmente in cosa ci si impegna: “vivere secondo il Vangelo sull’esempio di San Francesco e secondo questa Regola riconosciuta dalla Chiesa”. Questo sarà quindi un impegno i cui campi di applicazione saranno illimitati. “Vivere secondo il Vangelo” invita, in effetti, a non fermarsi al testo, ma, al contrario, a superare la lettera e la legge; apre uno spazio vergine, illimitato, dove le misure ed i calcoli fanno difetto e dove regnano la qualità e la libertà. Questo è un punto particolare che, tra gli altri, distingue l’O.F.S. dalle confraternite * Le confraternite sono delle associazioni pie, il cui oggetto è sovente la mutua assistenza o la pratica di una devozione ben precisa (per esempio, devozione al Sacro Cuore). o dalle associazioni caritative * Le associazioni caritative militano in modo efficace per un’opera particolare (per esempio, per i lebbrosi o i ciechi). di ogni confessione.
Articolo 3.
L’interpretazione di questa Regola dipende dalla Santa Sede e l’applicazione concreta sarà fatta attraverso delle costituzioni generali e degli statuti particolari.
Per la maggior parte degli Ordini già antichi * Ad eccezione, tuttavia, dell’Ordine dei Frati Minori la cui Regola, scritta da San Francesco, è sufficientemente aperta nelle sue applicazioni pratiche per tener conto dei cambiamenti legati all’evoluzione dei tampi. , la Chiesa ha risistemato le diverse Regole di vita per adattarle alle esigenze ed alle attese della Chiesa e per tener conto delle esigenze legate all’evoluzione del mondo. L’Ordine Francescano Secolare non ha fatto eccezione a questi riadattamenti. La particolarità della nostra nuova Regola consiste nel fatto che nella sua redazione si avvicina allo “stile” di Francesco. Per esempio, non vi troveremo delle prescrizioni di natura numerica, quali: fare ogni giorno tot di preghiere, andare a visitare tot volte gli ammalati, etc. In effetti, la diversità delle situazioni dei membri delle fraternità non autorizza questo genere di precisioni. Vuol dire che ciascuno può trovarvi e fare ciò che vuole? Ebbene, veramente non è nemmeno questo. Tuttavia queste due tentazioni sono grandi: o di avere una linea di condotta da seguire ciecamente, cosa che potrebbe farci credere di essere dispensati dall’Amore Evangelico (questo non sarebbe forse correre il rischio di cadere nel fraintendimento dei farisei con i loro famosi precetti?); oppure di sottrarsi alla generosità autentica ed alla sottomissione allo Spirito Santo non facendo niente. Questa falsa alternativa non è nuova. Uno dei compagni del Santo, Frate Leone, domanda un giorno a fratello Francesco delle precisazioni su un punto di osservanza. Ecco che cosa questi gli scrive in risposta:
“Fratello Leone, augura il tuo fratello Francesco salute e pace!
Figlio mio, parlo a te come una madre. Tutte le parole che ci siamo scambiate per strada, le riassumo in questa parola e consiglio – anche se dopo avrai bisogno di tornare a chiedermi consiglio. Eccoti dunque il mio pensiero:
Qualunque modo di piacere a Dio e di seguire le sue orme e la sua povertà, ti sembri il migliore, ebbene, fallo con la benedizione del Signore e con la mia obbedienza.
Ma se è necessario per la tua anima, per un’altra tua consolazione, e vuoi, o Leone, venire da me, vieni!” * 7 Let (Lettera a frate Leone).
Francesco si rifiuta, quindi, di proporre ai suoi fratelli un modello diverso da quello di Cristo. Ma su “come imitarLo”, Francesco rinvia, per così dire, Leone a se stesso, invitandolo a riflettere sul modo migliore di piacere al Signore Dio e di seguire le sue tracce di povertà. La frase di San Paolo è molto presente allo spirito di Francesco, che l’ha meditata e vissuta: “L’uomo non è giustificato attraverso la pratica della legge, ma solo, attraverso la fede in Gesù Cristo” (Ga 2 16). Così, ogni fratello o sorella secolare deve vivere secondo il Vangelo, sull’esempio di San Francesco e, dal punto di vista pratico, facendo fruttificare i talenti di cui il Signore lo ha ricolmato. Questi deve mettere a frutto i suoi talenti nella comunità cristiana dove ciascuno ha il suo posto. E in questa comunità le qualità di un fratello non entrano in competizione con quelle di un altro. Esse arricchiscono l’insieme.
Le costituzioni generali di cui si tratta alla fine dell’articolo 3 hanno come obiettivo di “mettere la Regola nella pratica e di indicare concretamente le condizioni richieste per appartenere all’O.F.S., il modo di funzionamento dell’O.F.S., l’organizzazione della vita di fraternità e la sua sede” * Costituzioni generali 4 3..
Gli satuti particolari hanno come scopo di organizzare il funzionamento dell’O.F.S. all’interno di una singola nazione. E’ di loro competenza, in particolare, di determinare l’età minima richiesta per la Promessa di Vita Evangelica (l’impegno) * Che non può, in ogni modo, essere inferiore a 18 anni compiuti. e per il segno distintivo dell’appartenenza all’O.F.S. (Il “Tau” o un altro simbolo francescano) * Cost. Gen. 4 3..
Già per tre volte è stata nominata la famiglia. Non possiamo chiudere questo primo capitolo senza rispondere a questa domanda: che cos’è la fraternità?
La fraternità
Studiando il significato della parola fraternità, è facile scoprire la presenza della parola fratello. Ma che cosa è un fratello? Il dizionario ci risponde che un fratello è colui che è nato dallo stesso padre e dalla stessa madre, o soltanto da uno dei due. La nostra fratellanza è quindi, innanzitutto, la conseguenza diretta di una paternità comune a tutti. Se noi siamo fratelli, significa che siamo tutti figli di uno stesso Padre: il Nostro Padre. Come non evocare la preghiera del Padre Nostro che ci ha insegnato Gesù, il Cristo, nostro fratello. “Se preghiamo nella verità il “Padre Nostro”, noi usciamo dall’individualismo, perché l’amore che accogliamo ce ne libera. Il “nostro” dell’inizio della preghiera del Signore ed il “noi” delle ultime quattro richieste non escludono nessuno. Perché sia detto nella verità, le nostre divisioni e le nostre opposizioni devono essere superate.” * C.E.C. 2792. Ma la fraternità a che cosa serve?
Possiamo dire che la fraternità ha per oggetto il compimento in comune della salvezza di tutti * Ut salvi essent in idipsum: una delle formule – tipo dell’ideale francescano, una di quelle che esprimono con la massima concisione che, se i cristiani sono fratelli, la vita cristiana è una vita nella fraternità. . E’ l’immagine delle nostre sorelle formiche. Osserviamole in uno degli episodi della loro vita quotidiana: una trova un pezzo di pane che un uomo ha lasciato cadere durante il pasto. Questo pezzo di pane è 500 volte più grosso di lei; ella è incapace di trasportarlo da sola alle sue sorelle, per le quali sarà, comunque, oggetto di gioia. Allora corre ad avvertire le sue sorelle: “Venite presto. Ho scoperto un enorme pezzo di pane a qualche passo da qui. Andiamo, presto, prima che un uccello lo prenda”. Ed eccole partite. Insieme, e a rischio di rompersi le zampine, sollevano questo cibo e lo avvicinano al formicaio. Dopo numerosi sforzi, alla fine ci riescono. Ma il lavoro non è ancora finito. Altre vengono per tagliare in minuscole bricioline e trasportare nelle gallerie il cibo che servirà a tutte. Ecco l’esempio che ci offrono le nostre sorelle formiche di cosa è la fraternità: compiere insieme la salvezza di tutti. Evidentemente, questa salvezza di tutti non si limita, come nel caso delle formiche, all’aspetto materiale della natura (anche se ne fa parte). Questo compimento in comune della salvezza di tutti riguarda il lato spirituale dell’essere: la sua anima.
Con queste righe finisce la parte di insegnamento del primo capitolo di questo libro. Adesso passiamo alle domande che chiuderanno ogni capitolo.
DOMANDE
Ho memorizzato bene?
- Qual è la vera chiave di tutta la rivelazione?
- Qual è il significato della parola penitenza?
- Quale definizione dare dell’Ordine Francescano Secolare?
Per approfondire
- All’inizio dell’Offertorio, il sacerdote versa il vino nel calice e vi aggiunge un po’ d’acqua dicendo, sovente a bassa voce:
“L’acqua unita al vino sia segno dell’unione con la vita divina di Colui che ha voluto assumere la nostra natura umana”. - L’incontro con il lebbroso è stato per Francesco il momento importante della sua conversione. Ho conosciuto anch’io, nella mia vita, un momento forte grazie al quale la mia visione del mondo e della gerarchia dei valori si sono rovesciati?
- Faccio i miei primi passi nella vita di fraternità in cui io accolgo questo(i) novizio(i). In ogni caso, posso esprimere in maniera molto semplice ciò che mi ha spinto a voler ricercare questa vita fraterna?