Capitolo III: missione e comunione con il Papa, i vescovi e i sacerdoti
- Intero (2.58 Mo)
- Parte 1 (260 Ko)
- Parte 2 (453 Ko)
- Parte 3 (580 Ko)
Il titolo di questo capitolo lascia pensare che qui saranno trattati due soggetti molto diversi. Da un lato, la missione. Dall’altro, la comunione con il Papa, i vescovi ed i sacerdoti. La cura pedagogica ci farà effettivamente incominciare da un passo del Vangelo che tratta della missione: “Voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo”. In un secondo tempo, seguiremo Francesco nel suo cammino verso Roma. Commenteremo l’incontro che ebbe, insieme con i suoi compagni, con il Sovrano Pontefice. Infine, scopriremo l’articolo 6 della nostra regola. Vedremo allora che i due soggetti trattati, anche se possono essere studiati separatamente, sono incredibilmente legati l’uno all’altro.
- 0
VOI SIETE IL SALE DELLA TERRA, VOI SIETE LA LUCE DEL MONDO
Questa doppia affermazione rivolta da Cristo ai suoi discepoli può sorprendere: voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo. Comprendiamo facilmente ed accettiamo senza difficoltà che Gesù dica questo riguardo a se stesso, Io sono il sale della terra, Io sono la luce del mondo. Ma che dica questo di noi? Tuttavia Gesù non è un ruffiano che vive alle spese di quelli che lo ascoltano. Pronunciate da Lui, tali affermazioni non possono essere altro che vere. Queste parole scuotono, obbligano a riflettere, a meditare e… a vivere. Si, non ci sono parole imbonitrici in questa frase, ma un’esigenza di vivere nel mondo secondo il progetto di Dio.
Gesù si rivolge ai suoi discepoli. La scena si svolge su una montagna vicina alla città di Cafarnao.
Apostoli e discepoli, ascoltate : voi siete il sale della terra
Apostoli e discepoli, ascoltate: voi siete il sale della terra e la luce del mondo. Ma se voi mancate alla vostra missione, voi diventerete un sale insipido ed inutile. Nulla potrà più rendervi il sapore se Dio non ha potuto darvelo… Il vostro sale allora non è altro che una mescolanza di pietraglia in cui si trova disperso il povero granello di sale, di pietraglia che stride sotto i denti, che lascia in bocca un gusto di terra e che rende il cibo ripugnante e sgradevole. Non è nemmeno più buono per degli usi inferiori, perché un sapore impastato con i sette vizi sarebbe pure nocivo alle missioni umane. E allora il sale è buono soltanto ad essere gettato via e ad essere calpestato dai piedi incuranti degli uomini.
Voi siete la luce del mondo
Voi siete la luce del mondo. Voi siete come quella cima che è stata l’ultima a perdere il sole e la prima a ricevere la luce argentata della luna. Colui che si trova in alto brilla e lo si vede perché l’occhio, persino il più distratto, si posa talvolta sulle alture. Io direi che l’occhio materiale, di cui si dice sia lo specchio dell’anima, riflette il desiderio dell’anima, desiderio sovente inconscio, ma sempre vivo, fin tanto che l’uomo non sia un demone, il desiderio delle altezze, delle cime in cui la ragione pone istintivamente l’Altissimo. E cercando il Cielo, alza, almeno qualche volta nella vita, gli occhi verso le altezze.
L’occhio si slancia verso l’alto. Vi prego ancora di ricordarvi dei nostri viaggi. Dove va il nostro occhio, come per dimenticare la lunghezza del cammino, la monotonia, la fatica, il caldo o il fango? Verso le cime, anche se non sono tanto alte, anche se sono lontane. E come
siamo sollevati al vederle apparire quando ci troviamo in una pianura uniformemente piatta! In basso c’è del fango? In alto c’è la purezza. In basso c’è un caldo soffocante? In alto c’è fresco. In basso l’orizzonte è limitato? In alto si estende senza limiti. Solo al vederle, sembra che il giorno sia meno caldo, il fango meno colloso, il cammino meno triste. E poi, se una città brilla sulla cima di una montagna, ecco che non ci sono occhi che non l’ammirano. Si potrebbe quasi dire che una località senza importanza diventa più bella se viene posta, quasi in aria, in cima ad una montagna. Ed è per questo che nella vera religione così come in quelle false, ogni volta che è stato possibile, i templi sono stati costruiti su un luogo elevato e, in mancanza di collina o di montagna, è stato fatto un piedistallo di pietra costruendo a forza di braccia la piattaforma sulla quale verrà piazzato il tempio. Perché si agisce così? Perché si vuole che il tempio sia visibile per elevare, grazie alla sua vista, il pensiero a Dio.
Ho anche detto che voi siete la luce. Colui che, la sera, accende una lampada nella sua casa, dove la mette? In un buco, sotto il forno? Nella grotta che serve da cantina? O chiusa in una cassaforte? O ancora, semplicemente e solamente, la nasconde sotto un moggio? No, perché allora sarebbe inutile accenderla. Ma pone la lampada in alto sopra una mensola o la appende al portalampada in modo che, essendo posta in alto, essa rischiari tutta la stanza e illumini tutti gli abitanti che vi si trovano. Ma quella, proprio perché è posta in alto ed è incaricata di ricordare Dio e di dare la luce, deve essere all’altezza del suo compito.
Voi dovete ricordare il Vero Dio, voi dovete portare la luce di Dio
Voi che dovete ricordare il Vero Dio, fate in modo di non avere in voi il paganesimo al settimo grado. Altrimenti voi diventerete degli alti luoghi profani, con dei boschi sacri dedicati all’uno o all’altro dio e coinvolgerete nel vostro paganesimo quanti guardano a voi come a dei templi di Dio. Voi dovete portare la luce di Dio. Una lampada sporca, una lampada senz’olio, fuma e non fa luce. Puzza e non rischiara. Una lampada nascosta dietro ad un tubo di quarzo sporco non crea il grazioso splendore, non crea il brillante gioco della luce sul minerale pulito, ma langue dietro il velo di fumo nero che rende opaca la sua custodia adamantina.
La luce di Dio risplende là dove si trova una volontà diligente per togliere ogni giorno le scorie che il lavoro stesso produce, con i contatti inevitabili, le reazioni, le delusioni. La luce di Dio risplende quando la lampada è piena di un liquido abbondante di orazione e di carità. La luce di Dio si moltiplica in infiniti splendori quando vi si trovano le perfezioni di Dio, ciascuna delle quali suscita nel santo una virtù che si esercita eroicamente se il servo di Dio tiene il quarzo inattaccabile della sua anima al riparo del fumo nero di tutte le cattive passioni fumose. Quarzo inattaccabile. Inattaccabile! Dio solo ha il diritto ed il potere di incidere questo cristallo, di inscrivervi il suo santissimo Nome con il diamante della sua volontà. Allora questo Nome diventa un ornamento che moltiplica le sfaccettature di bellezza soprannaturale sul quarzo purissimo.
Guai ai cattivi pastori !
Guai! Tre volte guai ai pastori che perdono la carità, che si rifiutano di elevarsi in alto giorno dopo giorno per far salire il gregge che attende la loro ascesa per poter, lui stesso, salire. Io li colpirò e li farò cadere dal loro posto, spegnendo tutto il loro fumo.
Guai! Tre volte guai ai maestri che respingono la Sapienza per saturarsi di una scienza sovente contraria, sempre orgogliosa, talvolta satanica perché li riduce alla loro umanità perché – ascoltate bene e memorizzate – mentre il destino di ogni uomo è di diventare simile a Dio attraverso la santificazione che fa dell’uomo un figlio di Dio, il maestro, il sacerdote, dovrebbe, su questa terra, possederne già l’aspetto, il solo, quello di figlio di Dio. Dovrebbe avere l’aspetto di una creatura tutta anima e tutta perfezione. Dovrebbe averlo, per condurre verso Dio i suoi discepoli. Anatema ai maestri incaricati di assicurare l’insegnamento sovrumano, che diventano degli idoli di sapere umano.
Guai! Sette volte guai a coloro, tra i miei sacerdoti, il cui spirito è morto, che sono diventati insipidi, la cui carne soffre di una tiepidezza malsana, il cui sonno è riempito di apparizioni allucinanti di tutto ciò che esiste, tranne il Dio Uno e Trino; pieni di ogni sorta di calcoli, tranne il desiderio soprannaturale di aumentare le ricchezze dei cuori e di Dio. Vivono, sepolti nella loro umanità, meschini, intorpiditi, mentre trascinano nelle loro acque morte quelli che li seguono credendo che essi siano la “vita”. Maledizione di Dio su coloro che corrompono il mio piccolo gregge, il mio gregge amato. Non è a quanti muoiono a causa della vostra indolenza, o servi mancanti del Signore, ma a voi che io domanderò i conti e che imporrò una punizione, per ogni ora e per ogni momento sprecato, per tutto il male che ne è potuto venire in conseguenza!
Ricordatevi queste parole. Ed ora, andate. Io salgo sulla cima. Ma voi, dormite. Domani, per il gregge, il Pastore aprirà i pascoli della verità. * Dal Centro Editoriale Valtortiano, Isola del Liri, Italia, L’Evangile tel qu’il m’a été révélé, Maria Valtorta, T. 3 p. 145 – 150 (estratti)
In Gesù Cristo il regno di Dio si è avvicinato
Lo abbiamo già evocato: nella persona di Gesù Cristo il regno di Dio si è avvicinato agli uomini. La proclamazione e l’instaurazione del Regno di Dio sono, del resto, l’oggetto stesso della sua missione sulla terra: “…io devo annunciare la buona novella del regno di Dio, perché è per questo che io sono stato inviato” (Lc 4 43). Questa proclamazione sarà fatta da Gesù attraverso i viaggi nel paese di Israele, ma la sua parola si rivolge all’umanità intera. “Nell’incontro di Gesù con i pagani, appare chiaramente che l’accesso al Regno avviene attraverso la fede e la conversione e non grazie ad una semplice appartenenza etnica * Lettera enciclica Redemptoris Missio del Sovrano Pontefice Giovanni Paolo II, § 13. ”. Ma si può considerare che Gesù sia il solo essere attraverso il quale noi possiamo avere accesso al regno dei cieli? Ovvero, non si può trovare la salvezza in qualunque altra religione? “Nessuno può venire al Padre se non per me” (Jn 14 6) ci risponde Gesù Cristo. Si, Cristo è l’unico mediatore tra Dio e gli uomini “Non vi è, infatti, che un Dio solo e un solo mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesù, che diede se stesso in riscatto per tutti.” (1 Tm 2 5-6).
Così, non soltanto Cristo ha annunciato il Regno, ma è in lui che il Regno si è reso presente e si è compiuto: “Innanzitutto, il Regno si manifesta della persona stessa di Cristo, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, venuto per servire e dare la sua vita in riscatto per la moltitudine * Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Sulla Chiesa Lumen gentium, n. 5. ”. “Il regno di Dio non è un concetto, una dottrina, un programma che uno può elaborare liberamente, ma è, innanzitutto, una Persona che ha il volto e il nome di Gesù di Nazareth, immagine del Dio invisibile * Lettera enciclica Redemptoris Missio, § 18. ”.
Ora, Dio “vuole che tutti gli uomini siano salvati ed arrivino alla conoscenza della verità” (1 Tm 2 4), cioè di Gesù Cristo. E’ necessario, perciò, che il Cristo sia annunciato a tutti i popoli e a tutti gli uomini e che in tal modo la Rivelazione arrivi fino ai confini del mondo. Dio, con la stessa somma benignità, dispose che quanto Egli aveva rivelato per la salvezza di tutte le genti, rimanesse sempre integro e venisse trasmesso a tutte le generazioni * CEC § 74..
La Chiesa, segno e strumento di salvezza
Due passaggi del Vangelo sottolineano con forza che la Chiesa è segno e strumento di salvezza:
Innanzitutto, l’istituzione di Pietro come capo degli apostoli: “Ed io dico a te, che tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno mai prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: qualunque cosa legherai sulla terra sarà legata anche nei cieli; e qualunque cosa scioglierai sulla terra, sarà sciolta anche nei cieli” (Mt 16 18-19). Riprendiamo lentamente la frase di Gesù Cristo: Su questa pietra, edificherò la mia Chiesa. Così, è sempre possibile creare una chiesa accanto a quella che Cristo stesso ha istituito, ma non si può allora rivendicare che si tratti della Chiesa di Cristo. La Chiesa istituita da Gesù Cristo è veramente e solamente quella che riconosce Pietro come capo. E Gesù dà a Pietro un privilegio ed una responsabilità fuori dal comune: A te darò le chiavi del regno dei cieli. Precisiamo che l’esegesi cattolica considera che queste promesse valgano non solo per la persona di Pietro (figlio di Giona), ma anche per i suoi successori. Infatti, benché questa conseguenza non sia esplicitamente indicata nel testo, questa è tuttavia legittima in virtù dell’intenzione manifesta di Gesù di provvedere all’avvenire della sua Chiesa attraverso un’istituzione che la morte di Pietro non può rendere caduca.
Il secondo passaggio è quello che conclude l’invio in missione dei settanta discepoli: “Chi ascolta voi ascolta me, e chi disprezza voi disprezza me. Chi disprezza me disprezza Colui che mi ha mandato” (Lc 10 16). Frase molto forte. Il Magistero della Chiesa sarebbe quindi al di sopra della Parola di Dio? No, il Magistero della Chiesa non è al di sopra della Parola di Dio, ma la ascolta, la serve, la trasmette per mandato ricevuto da Dio, con l’assistenza dello Spirito Santo. Annunciare il Vangelo non è quindi un titolo di gloria. E’ un obbligo che riguarda tutti i cristiani. Si, “guai a me se non annunziassi il Vangelo!” (1 Co 9 16).
“…Non si possono disgiungere il Regno e la Chiesa. Certo. La Chiesa non è fine a se stessa, poiché ella è ordinata al Regno di Dio di cui è il germe, segno e strumento. Ma, anche se è distinta da Cristo e dal Regno, la Chiesa è unita indissolubilmente all’uno e all’altro. Cristo ha dotato la Chiesa, suo corpo, della pienezza dei beni e dei mezzi di salvezza; lo Spirito Santo dimora in lei, la vivifica con i suoi doni e con i suoi carismi, la santifica, la guida e la rinnova incessantemente. Ne risulta una relazione singolare ed unica che, senza escludere l’azione di Cristo e dello Spirito Santo fuori dai limiti visibili della Chiesa, conferisce a questa un ruolo specifico e necessario. Di qui deriva anche il legame speciale della Chiesa con il Regno di Dio e di Cristo che essa ha la missione di annunciare e di instaurare in tutte le nazioni * Lettera enciclica Redemptoris Missio del Sovrano Pontefice Giovanni Paolo II § 18..”
Che cos’è l’apostolato ?
Gesù Cristo ha istituito degli apostoli, termine che significa “inviato”, “messaggero”, ossia “incaricato di missione”. Di qui, indoviniamo facilmente il significato del termine apostolato: l’apostolato è l’attività della Chiesa, che consiste a portare La Luce al mondo, a “diffondere il regno di Cristo sulla terra * CEC § 863.”. Tutti gli evangelisti, quando riferiscono l’incontro del Resuscitato con gli Apostoli, concludono con l’invio in missione: “Mi è stato dato ogni potere in cielo ed in terra. Andate, dunque, e fate discepoli tutti i popoli… Ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo * Mt 28 18-20; Mc 16 15-18; Lc 24 46-49; Jn 20 21- 23. ”.
Attraverso gli Apostoli, Cristo affida alla Chiesa, suo corpo mistico, questa missione di estendere il regno fino ai confini della terra. Infatti, anche se la Chiesa è la prima beneficiaria della salvezza, Cristo l’ha chiamata a cooperare con lui all’opera di salvezza universale. In effetti, Cristo vive in lei; è il suo sposo; assicura la sua crescita; compie la sua missione attraverso di lei * Lettera enciclica Redemptoris Missio del nostro Sovrano Pontefice Giovanni Paolo II, § 9. .”
Nel commentario che faremo sull’articolo 6 della nostra Regola alla fine di questo capitolo, porremo una questione pratica: “come essere missionario?”. Ma apportiamo già i principali elementi di risposta a questa domanda: dobbiamo avere il sapore che il sale dona agli alimenti. Portiamo la luce di Dio ben in alto nelle nostre vite, ossia nelle nostre parole, nelle nostre azioni e, innanzitutto, nella comunione gli uni con gli altri.
CHE TUTTI SIANO UNO
Scopriamo ora come Francesco si sottomette al Papa e qual è il profondo rispetto che testimonia ai sacerdoti.
La Chiesa sul rogo delle sette
Ricordiamoci: Francesco comprende il messaggio del crocifisso di San Damiano mentre ascolta il sacerdote che proclama la lettura del Vangelo. Dopo aver ricevuto conferma dal sacerdote del significato di questa pagina del Vangelo, Francesco parte sulle strade per predicare. Solo qualche giorno dopo l’inizio della sua predicazione, alcune persone lasciano il mondo per seguirlo. Notiamo, tra l’altro, che Francesco non chiede al Signore dei fratelli che lo accompagnino nella sua impresa, ma è il Signore stesso che glieli dona * Test 14: “Dopo che il Signore mi ebbe dato dei fratelli…”. Ben presto saranno una dozzina a vivere nella pace, la gioia, la povertà e la cura dei lebbrosi. Francesco redige allora un testo con poche e semplici parole, che si può riassumere così: “Vivere secondo il Santo Vangelo * Test 14: “… nessuno mi mostrò quello che dovevo fare, ma l’Altissimo stesso mi rivelò che dovevo vivere secondo il santo Vangelo”.”. Dopo di ciò, Francesco compie un atto che lo distingue dai numerosi riformatori dell’epoca. La maggior parte di questi riformatori vive una vita povera e casta e si basa sul Vangelo ma, allo stesso tempo, critica apertamente il clero per degli errori frequenti di una parte di esso. Inutile precisare che costoro non considerano il Sovrano Pontefice in odore di santità, poiché egli sarebbe il capo di una tale banda di peccatori. Queste persone si presentano, quindi, come riformatrici della Chiesa. Tuttavia, oltre al fatto che sviluppano, sovente, una teologia particolare (ricordiamo l’eresia catara), la riforma vuole costruirsi dall’esterno della Chiesa, o, cosa che dà lo stesso risultato, mettere la Chiesa sul rogo per crearne una nuova, la loro, la sola capace di condurre gli uomini alla salvezza.
Francesco, invece, compie un atto che lo distingue totalmente da tutti questi riformatori: va a vedere il Papa dell’epoca, Innocenzo III, per domandargli l’approvazione della sua regola di vita. Sottolineiamo quest’azione, poiché non è meno importante dell’approvazione pontificale stessa. Francesco ed i suoi undici primi compagni vogliono vivere il Vangelo senza strappare le pagine che disturbano certe persone, quali: “Tu sei Pietro, e su questa pietra costruirò la mia Chiesa”. Oh, come questa frase del vangelo sembra difficile a viversi per i riformatori che si chiamano, pure, “del Vangelo”! E come Francesco ha vissuto questa frase, concretamente, semplicemente, e fin dal principio dell’Ordine. Tuttavia, la prima accoglienza del Papa, quando ha ricevuto Francesco ed i suoi compagni è piuttosto del genere “raggelante”, tale da dissuadere più di uno dal sottomettersi ad una persona così diretta ed esigente! Ma non andiamo troppo in fretta.
La strada verso Pietro
Francesco si rivolge ai suoi undici compagni: “Fratelli miei, io vedo che il Signore, nella sua bontà, vuole accrescere il nostro gruppo. Andiamo quindi da nostra madre la santa romana Chiesa e facciamo conoscere al Sovrano Pontefice ciò che il Signore ha cominciato a realizzare attraverso di noi, per poter continuare sotto il suo ordine e secondo la sua volontà quanto abbiamo iniziato * 3 S 46.” Il discorso piace ai fratelli e tutti, con il cuore in festa, si dirigono a piedi verso Roma. La città di Roma dista da Assisi 200 chilometri circa. Questi fratelli che percorrono il cammino non hanno altre parole che quelle del Signore. Arrivati a Roma, la provvidenza li aiuta ad essere ricevuti dal Papa perché, anche se hanno viaggiato per vederlo, non hanno in tasca alcuna lettera di raccomandazione, alcun lascia passare, alcun appuntamento fissato in anticipo.
Per quanto riguarda il Papa, questi sta vivendo * Il viaggio a Roma si colloca tra il 1209 ed il 1210. uno dei periodi più controversi e difficili del suo pontificato. Sul piano politico, ha appena vissuto l’amara e deludente esperienza della quarta crociata. Inoltre, è particolarmente preoccupato per la Germania, dove si sta compiendo una lotta accanita per la successione dell’impero. Sul piano religioso, soprattutto, giungono delle gravi inquietudini dal Mezzogiorno della Francia, dove le eresie valdese e catara, anche se si combattono tra di loro, trovano ad ogni istante l’occasione di estendere il loro campo di azione. Pierre de Castelnau, legato pontificale, è appena stato assassinato da uno scudiero del conte di Tolosa che credeva che facendo questo avrebbe trovato grazia agli occhi del suo Signore * Assassinare un legato pontificale per “trovare grazia agli occhi del mio Signore” fa capire che atmosfera regni, allora, nel sud della Francia, anche perché si tratta “di un crimine, a quei tempi, di una gravità inimmaginabile: un legato, infatti, era considerato quasi come un alter ego del Sovrano Pontefice” (Raoul Manselli, Saint François d’Assise, Edizioni Francescane 1981, p. 97).. In questa primavera 1210, queste gravi tensioni costituiscono veramente il problema più importante per Innocenzo III. Allora, pensate, il nostro povero Francesco con i suoi compagni!
La provvidenza fa loro incontrare il Vescovo di Assisi, allora in viaggio a Roma, che si inquieta per la loro presenza lì. Avrebbero forse l’intenzione di abbandonare Assisi? No, Dio sia lodato! E’ soltanto per incontrare il Papa! Allora il Vescovo li mette in contatto con un cardinale della curia, Monsignore Giovanni di San Paolo che, ospitandolo più giorni presso di se, fa profondamente conoscenza con loro e con il loro progetto di vita. E’ questo cardinale che riesce ad organizzare un incontro tra l’apostolo ed i dodici fratelli, non in pompa magna, certo, ma in una sala detta “dello specchio” nel palazzo del Laterano. Il Papa cammina allora in lungo e in largo, assorto in profonde riflessioni * Questi dettagli ci sono forniti da San Bonavventura, LM 3 9..
Il primo incontro
Francesco espone allora tutto il suo progetto religioso: vivere secondo la regola del santo Vangelo ed osservare in ogni cosa la perfezione evangelica. Il Papa lo ascolta attentamente, fino al momento in cui Francesco ha presentato tutto. Il Sovrano Pontefice, uomo di misura e di prudenza, risponde a Francesco ed ai suoi compagni nel seguente modo: “Il vostro genere di vita è troppo duro e troppo austero. Non si può pretendere di fondare un Ordine e di non possedere alcun bene in questo mondo. Dove troverete il necessario per vivere?” Francesco risponde: “Signore, mi affido al mio Signore Gesù Cristo: se si è impegnato a darci la vita e la gloria del cielo, non ci farà certo mancare, al momento voluto, l’indispensabile per la nostra esistenza materiale su questa terra.” Il Papa replica: “Dici molto bene, figlio! Ma nulla toglie che l’uomo, per sua natura, sia molto instabile, e che non perseveri mai a lungo nelle sue disposizioni.” * AP 34b. Alcuni cardinali presenti aggiungono che questa è una novità ed un’impresa che supera le forze umane. Il cardinale Giovanni di San Paolo interviene a favore del progetto: “Se noi respingiamo come una novità o una spacconata la proposizione di questo povero: vivere conformemente al Vangelo di Cristo, noi ci esponiamo, facendo questo, a colpire il Vangelo di Cristo. Perché sostenere che sia una novità, una follia o una spacconata il fatto di praticare la perfezione del Vangelo, è bestemmiare contro Cristo, autore del Vangelo.” * LM 9. Il Papa riprende allora: “Figlio, va, e prega Dio di rivelarti se ciò che voi cercate procede veramente dalla sua volontà, in modo che, conoscendo la volontà del Signore, noi possiamo approvare i tuoi desideri.” * 3 S 49.
Agli occhi di molti, questo primo incontro sarebbe di tal natura da spegnere la gioiosa fiamma di entusiasmo che brucia nel cuore dei nostri compagni. In effetti, non è così. Il Papa non ha detto di no. Ma l’uomo, lo abbiamo detto, è prudente e misurato. Non da con facilità un’approvazione al primo mistico venuto, anche se presentato e raccomandato da uno dei suoi cardinali. Comincia col sollevare un problema pratico: “Da dove potrete trarre il necessario per vivere?” Riguardo l’instabilità dell’uomo, può permettersi di parlarne, siccome l’ha sovente constatata fin dall’inizio del suo pontificato * Ottone di Brunswick era venuto in Italia per esservi solennemente incoronato imperatore dal Papa. Allora aveva fatto una solenne promessa di obbedire alla Chiesa. Subito dopo, viola i suoi precedenti impegni e, contro l’espressa volontà di Innocenzo III, decide di attaccare il regno di Sicilia, il cui re è Federico Ruggero, il futuro Federico II, che allora aveva quattordici anni. . Allora, perché accordare immediatamente una cieca fiducia a questo Francesco ed ai suoi compagni? Chiamandolo “figlio” rinvia Francesco alla preghiera e lo invita a ritornare a vederlo se Dio gli rivela che quello che vogliono vivere procede veramente dalla sua volontà. Ed accade che la condizione posta dal Papa si realizzi grazie ad una risposta tratta da una parabola ispirata.
C’era una volta una donna povera ma bella
Secondo il suggerimento del Papa, Francesco se ne va a pregare e ritorna qualche giorno più tardi con i suoi fratelli per raccontare al Papa la parabola che il Signore gli ha ispirato: “C’era una volta, in un deserto, una donna povera, ma molto bella. Un gran re fu sedotto dalla sua bellezza e volle prenderla in sposa, perché sperava di avere dei bei figli. E così avvenne. Nacquero e crebbero molti figli, a cui la madre un giorno fece questo discorso: “Figli miei, non abbiate vergogna! Voi siete i figli del re. Andate alla sua corte ed egli vi darà tutto quello che vi serve.” Quando giunsero alla corte, la loro bellezza meravigliò il re, perché ritrovava in essi il suo proprio ritratto: “Di chi siete figli?” chiese loro. Dopo che ebbero risposto di essere i figli della povera donna che abitava nel deserto, il re, pieno di gioia, li abbracciò e disse loro: “Non abbiate timore, voi siete i miei figli! E se degli stranieri sono nutriti alla mia tavola, a più forte ragione dovete esserlo voi, che siete i miei figli legittimi.” (3 S 50). Ed il re ordinò che la donna e tutti i figli che aveva avuto da lui venissero alla corte * Questo episodio della vita di Francesco è stato riportato nel 1219 da Eudes di Cheriton (conte di Kent) nella sua raccolta di sermoni per il Vangelo della domenica. Ecco il suo testo, al contempo più crudo e colorato di quello riportato nelle biografie di Francesco che noi possediamo: Fecero questa obiezione a Fratello Francesco: Chi provvederà al nutrimento dei tuoi fratelli, siccome tu accetti senza batter ciglio tutti quelli che ti si presentano? Rispose: Una donna fu un giorno violentata da un re nella foresta. Ella ebbe un figlio che nutrì per qualche tempo, poi si presentò alla corte a chiedere che il re si occupasse ormai di lui. Il re rispose: “Ci sono tanti profittatori ed inutili nel mio palazzo: è giusto che mio figlio sia nutrito come loro alla mia mensa.” Per spiegare questa parabola, disse che questa donna era lui: il Signore lo aveva fecondato con la sua Parola e aveva generato dei figli spirituali. E siccome il Signore nutre già tanti ingiusti, non ci si deve stupire che provveda anche al cibo dei suoi figli. (San Francesco di Assisi – Documenti, Ed. Francescane 1981, 2 C 16, nota 2, p. 336)..” Dopo il racconto, Francesco prosegue commentando la parabola: “Padre Santissimo, dice, questa donna povera che il Signore pieno di amore ha accolto nella sua misericordia e da cui ha voluto generare dei figli legittimi, sono io. Il re dei re mi ha detto che nutrirà tutti i figli che egli genererà da me, perché, se nutre gli stranieri, deve anche nutrire i suoi figli legittimi. Se Dio dona i beni temporali anche ai peccatori, a più forte ragione li donerà generosamente a questi uomini evangelici che li meritano.” * Da 3 S 50 e 51.
La donna povera soccorre il Laterano
All’udire questa parabola, il Papa è molto sorpreso. Francesco riferisce in modo chiaro e preciso, senza sconfessare i suoi propositi precedenti, ma, al contrario, confermandoli nello spirito, come conta di risolvere il problema pratico sollevato: abbandonandosi alla benevolenza del Creatore che “fa sorgere il sole sui malvagi e sui buoni, e cadere la pioggia sui giusti e sugli ingiusti” (Mt 5 45). Molto sorpreso, dicevamo! Il Papa lo è certamente a causa della costanza di Francesco. Ma c’è dell’altro. Dopo la prima visita di Francesco, il Papa ha fatto un sogno. O meglio, più che di un sogno, si tratterebbe piuttosto di un incubo, di cui cerca di penetrare il senso: la chiesa del Laterano * La chiesa del Laterano è una delle quattro basiliche maggiori di Roma. All’epoca di Francesco, il Papa non risiedeva in Vaticano, ma in Laterano. E’ quindi normale che il Papa abbia visto che questa vacillava, perché era questa che allora simboleggiava la barca di Pietro. minacciava di crollare ed era un religioso basso di statura e miserabile di aspetto che la sosteneva puntellandola sulla sua schiena. Innocenzo terzo si era risvegliato atterrito, quasi paralizzato.Si, con tutti gli attacchi di cui la Chiesa era attualmente l’oggetto, questa vacillava e minacciava di diventare presto un ammasso di rovine capace soltanto di ispirare i versi di qualche poeta amante del passato. Ed ecco Francesco che, forse contro ogni attesa, si presenta di nuovo davanti a lui. Quando il Papa vede Francesco, questo piccolo religioso miserabile talmente pronto a servire Dio, fa un accostamento tra la sua visione e la parabola ispirata che Francesco gli ha appena raccontato e comincia a dire a se stesso: “Eccolo, quest’uomo religioso e santo grazie al quale la Chiesa di Dio sarà sollevata e sostenuta!”.
Il Papa compie allora un gesto veramente diverso dal suo atteggiamento del primo incontro: abbraccia Francesco. Dopo di ciò, approva la sua regola ed accorda, a lui ed ai suoi fratelli, l’autorizzazione di predicare dappertutto la penitenza, ponendo tuttavia la condizione che i fratelli potessero predicare soltanto dopo aver ottenuto l’autorizzazione di Francesco.
La Chiesa nel cuore di Francesco
Questa visita e l’atto di sottomissione al Sovrano Pontefice danno alla fraternità primitiva una fisionomia pienamente evangelica. Le danno “un volto che la distingue nettamente dai vari movimenti evangelici dell’epoca. Tutte le sette - e sono numerose all’epoca – predicano il ritorno al Vangelo della povertà, della missione e della fraternità. Su questo piano, non c’è nulla che differenzi Francesco ed i suoi compagni, per esempio, da un certo Pietro Valdo, anch’egli mercante convertitosi al Vangelo. Ma ciò che li separa radicalmente è il loro rispettivo atteggiamento nei confronti della Chiesa istituzionale.
Francesco non si arroga l’officio di censore, e nemmeno quello di riformatore o di profeta. E’ cosciente di essere, e vuole essere, troppo piccolo per questo. Certo, vede gli abusi della Chiesa e ne soffre. Ma non biasima nessuno. Di fronte alla corruzione di una parte del clero, lui ed i suoi compagni si rifiutano di apparire come i “puri”, gli “autentici”. D’altronde, non ne hanno nemmeno l’idea. Si presentano, semplicemente, come dei “penitenti venuti da Assisi”. Vogliono essere dei “frati minori” nel vero senso del termine. Si potrebbe cercare invano, in tutti gli scritti di Francesco, anche una brevissima frase, la minima parola che possa esprimere un atteggiamento di critica verso la Chiesa e la sua gerarchia. Non vi è la minima traccia di contestazione. Invece, vi si trova un grande rispetto per l’Istituzione ed una volontà chiaramente espressa di sottomissione filiale, ispirata da una fede profonda.” * Eloi LECLERC, François d’Assise – Le retour à l’Evangile, Desclée de Brouwer 1986, Cap. 6, p. 120. E’ vero che non tutti hanno l’occasione di essere ricevuti dal Papa! Ma l’incontro con il Sovrano Pontefice non fa “montare la testa” a Francesco ed ai suoi fratelli. Al contrario, Francesco domanderà un giorno al Papa di dar loro un vescovo, il vescovo di Ostia, in rappresentanza del Papa presso l’Ordine, affinché l’Ordine non disturbi il Papa per delle piccole cose (2 C 25).
Bisogna aggiungere che questo atteggiamento filiale di Francesco non si limita al servo dei servi. Assolutamente! Non possiamo concludere questa parte senza evocare i sentimenti che Francesco nutre per i sacerdoti. Ed egli invita tutti i suoi fratelli del momento e tutti quelli che entreranno nell’Ordine dopo la sua morte a condividerli con lui. Un passo della vita del re David riassume bene questo sentimento che Francesco prova per i sacerdoti e soprattutto la ragione profonda che ne è all’origine. Ma torneremo a Francesco dopo aver riferito questo fatto che non costituisce semplicemente un aneddoto.
…Perché è l’unto di Dio
Ricordiamoci. David uccide in duello il gigante Golia e con questo atto salva il popolo ebraico dalle grinfie dei Filistei.
Allora, tutte le donne di Israele danzano cantando: “Saul ne ha uccisi a migliaia e David a miriadi * 1 S 18 7..” Quando il re Saul ode questi canti, si irrita molto al sentire che si cantano le miriadi per David e per lui soltanto le migliaia. Terribilmente geloso del successo di David, lo insegue per ucciderlo. David, per salvarsi, è obbligato a fuggire. Ora, un giorno, mentre David ed i suoi amici se ne stanno rintanati in fondo ad una grotta, Saul passa, con i suoi uomini, alla ricerca di David. Ma la natura è così fatta che pure un re deve andate alla toilette come il più piccolo degli uomini sulla terra. Saul ha quindi un bisogno naturale ed entra, a sua insaputa, nella grotta occupata da David. Gli amici di David spingono quest’ultimo a cogliere l’occasione insperata per uccidere il suo nemico. Ma David non fa nulla. Si avvicina senza fare rumore dietro a Saul e, con il suo coltello, taglia di nascosto un lembo del mantello di Saul. Quando il re esce dalla grotta e rimonta sul suo cavallo, David esce e lo chiama:
“Maestà!”. Saul si volta e, con stupore, vede David. Questi, inchinandosi fino a terra, prosegue: “Perché ascolti coloro che ti dicono: - Vedi che David cerca la tua fine? - In questo stesso giorno i tuoi occhi hanno visto come il Signore ti aveva consegnato nelle mie mani, nella grotta, ma io mi sono rifiutato di ucciderti, ti ho risparmiato ed ho detto: - Non alzerò la mia mano sul mio Signore, poiché è l’unto di Dio. Oh padre mio, guarda il lembo del tuo mantello nella mia mano: siccome ho potuto tagliare il lembo del tuo mantello, e non ti ho ucciso, riconosci chiaramente che non ci sono in me né cattiveria né intenzioni criminose…”. Vedendo questo il re Saul dice: “ Tu sei più giusto di me, poiché tu mi hai fatto del bene, mentre io ti ho fatto del male, ed oggi questa bontà ha raggiunto la sua pienezza. Il Signore mi aveva consegnato nelle tue mani e tu non mi hai ucciso. Quando un uomo incontra il suo nemico, lo lascia andare tranquillamente per la sua strada? Che il Signore ti ricompensi per il bene che mi hai fatto oggi. Ora, io so che tu regnerai con sicurezza e che la regalità sarà stabile in Israele.” (Da 1 S 24)
L’unzione nella simbologia biblica e antica
David si rifiuta di alzare la mano sul re Saul, poiché è l’unto di Dio. Ma che cosa significa? Cosa vuol dire “unto”? Diciamo, innanzitutto, che nell’Antico Testamento tutti i sacerdoti sono unti, e così pure i re, ma non gli altri uomini. L’unto è colui che ha ricevuto un’unzione. Questa unzione dona a colui che la riceve un carattere sacro: è l’Unto del Signore. In questa unzione, bisogna considerare due elementi: innanzitutto, il segno stesso dell’unzione. In secondo luogo, ciò che l’unzione indica e imprime: il sigillo spirituale.
L’unzione presenta una grande ricchezza di significati: l’olio è segno di abbondanza e di gioia. Purifica. Rende agile * Nell’antichità, gli atleti ed i lottatori si spalmavano il corpo di olio. . E’ segno di guarigione, poiché cura le contusioni e le piaghe * Lc 10 34 “Si avvicinò, bendò le sue piaghe, versandovi dell’olio e del vino…”. Rende luminosi di bellezza, di salute e di forza.
Per mezzo di questa unzione, il cresimando riceve “il marchio”, il sigillo, dello Spirito Santo. « Il sigillo è il simbolo della persona (Gn 38 18), segno della sua autorità, della sua proprietà su un oggetto (per questo di usava imprimere sui soldati il sigillo del loro capo, come sugli schiavi quello del loro padrone) » * Da CEC § 1293 e 1295.. Trattandosi del re Saul, il sigillo è quello di Dio e, più precisamente, quello dello Spirito Santo. Saul “appartiene” a Dio. A causa di quest’appartenenza David rifiuta di alzare la mano su di lui, nonostante tutto il male che gli ha fatto. L’unzione che Saul ha ricevuto ha, agli occhi di David, la precedenza su tutto il resto, anche su quello che oggi chiameremmo “legittima difesa”.
A causa del loro carattere sacerdotale
Ebbene, è esattamente questo il sentimento che Francesco prova per i sacerdoti, a prescindere dallo stile di vita che essi possono condurre! Il suo Testamento, tra tutti gli scritti di Francesco e le sue biografie, è il testo che riassume al meglio questo profondo rispetto:
“Il Signore inoltre mi diede e mi dà una fede così grande nei sacerdoti che vivono secondo le leggi della santa Chiesa Romana, a motivo dell’ordine sacro, che farei ricorso ad essi anche se fossero loro a muovermi persecuzione. E se avessi tanta sapienza quanta ne ebbe Salomone, e incontrassi dei sacerdoti poverelli di questo mondo, non voglio predicare senza il loro consenso, nelle parrocchie dove dimorano. Questi e gli altri tutti io voglio rispettare, amare ed onorare come miei padroni. E non voglio considerare in loro gli aspetti negativi, poiché in essi io vedo il Figlio di Dio, e sono i miei padroni * Test 6 – 9..”
Francesco non guarda, e non vuol guardare, la pagliuzza che può trovarsi nell’occhio del fratello. Al contrario, cerca soltanto di scoprire la persona vivente e agente del Cristo nei suoi fratelli, ed in particolare nei sacerdoti. E, tra l’altro, ci dice perché: a causa del loro carattere sacerdotale. Si, tutto quello che abbiamo potuto leggere riguardo all’unzione dei sacerdoti e dei re dell’Antico Testamento, per Francesco si applica alla Chiesa, e con ragione! Colui che era atteso è arrivato, ed è veramente venuto per renderci partecipi della sua unzione.
Lo Spirito di Dio dimora in me
Certamente, ci sono stati degli “unti” del Signore nell’Antica Alleanza, in particolare il re David * 1 S 16 13.. Ma Gesù è l’Unto di Dio in una maniera unica. E’ Lui la persona di cui si parla nel libro di Isaia: “Lo Spirito del Signore è su di me, per questo egli mi ha consacrato” (Lc 4 18 et Is 61 1). Attraverso Gesù fatto uomo, l’umanità è totalmente “unta dello Spirito Santo”. La pienezza dello Spirito non doveva restare unicamente quella del Messia, ma doveva essere comunicata a tutto il popolo messianico. Questa comunicazione si realizza concretamente attraverso la vita sacramentale ed in particolare attraverso i sacramenti dell’iniziazione: il Battesimo, la Cresima e l’Eucarestia.
Nel rito del Battesimo, “l’unzione con il sacro crisma, olio profumato consacrato dal vescovo, significa il dono dello Spirito Santo elargito al nuovo battezzato. - E’ la vita di Dio che scaturisce in lui. - Egli è divenuto un cristiano, ossia “unto” di Spirito Santo, incorporato a Cristo che è unto sacerdote, profeta e re” * Da CEC § 1241..
“Mediante la Confermazione, i cristiani, ossia coloro che sono unti, partecipano maggiormente alla missione di Gesù Cristo ed alla pienezza dello Spirito Santo di cui Egli è ricolmo, in modo che tutta la loro vita effonda “il profumo di Cristo”.” * Da CEC § 1294.. Mentre il battesimo procura il “sacerdozio comune dei fedeli”, la Cresima procura la forza di confessare la fede in Cristo pubblicamente e come in virtù di un incarico.
Infine, “la santa Eucarestia completa l’iniziazione cristiana. Coloro che sono stati elevati alla dignità del sacerdozio regale per mezzo del Battesimo e sono stati conformati più profondamente a Cristo mediante la Confermazione, attraverso l’Eucarestia partecipano con tutta la comunità allo stesso sacrificio del Signore” * Da CEC § 1322.. Nutre la sua vita soprannaturale. “L’Eucarestia è “fonte e apice di tutta la vita cristiana”. Tutti i sacramenti, come pure tutti i misteri ecclesiastici e le opere di apostolato, sono strettamente uniti alla sacra Eucarestia e ad essa sono ordinati. Infatti, nella Santissima Eucarestia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua” * CEC § 1324.. Ora, solo i sacerdoti hanno ricevuto questo ministero di consacrare il pane ed il vino. Francesco ci precisa nel suo testamento che non vuol considerare in loro gli aspetti negativi. E precisa: “Mi comporto così perché, in questo mondo, con il mio sguardo nulla scorgo dell’altissimo Figlio di Dio se non il suo santissimo Corpo e santissimo Sangue, ch’essi ricevono ed essi soltanto amministrano agli altri.” * Test 10.
Non possiamo dire che non agisse per le persone stesse, ma (soltanto) per Dio. Infatti, vediamo qui veramente l’applicazione concreta della Fede e della Carità. Per Francesco, “amare Dio” si coniuga necessariamente con “amare il prossimo”.
Vediamo ora il contenuto dell’articolo 6 della nostra regola. Cercheremo di svelare qui questo mistero apparente dell’unione, in uno stesso articolo, dei temi della missione e della comunione.
MISSIONE E COMUNIONE CON IL PAPA, I VESCOVI, I SACERDOTI
Articolo 6.
Morti e resuscitati con Cristo nel battesimo che li rende MEMBRA VIVE DELLA CHIESA, sono ancora più profondamente uniti ad essa attraverso il loro impegno. Si sforzeranno, quindi, di essere i testimoni attivi della sua missione tra gli uomini, annunciando Cristo con la vita e la parola.
Ispirati da San Francesco e chiamati con lui a rinnovare la Chiesa, si impegneranno a vivere in piena comunione con il Papa, i vescovi, i sacerdoti, in un dialogo confidente ed aperto di creatività apostolica * Paolo VI, discorso ai terziari, 19/5/1971, III..
Morti e resuscitati con Cristo nel battesimo
In greco, battesimo significa immersione. Il battesimo di conversione dato da San Giovanni Battista nel Giordano prevedeva l’immersione delle persone che lo ricevevano. Allo stesso modo, e per lungo tempo nella Chiesa, i catecumeni ricevevano il battesimo immergendosi completamente in un battistero di grandezza appropriata. Così, attraverso il battesimo, il cristiano è immerso nel mistero di Cristo morto e resuscitato. Ma “Morti e resuscitati con Cristo nel battesimo” che cosa vuol dire?
Cominciamo innanzitutto dal constatare che un elemento essenziale del sacramento del Battesimo è l’utilizzazione dell’acqua. Quando il sacerdote battezza nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, versa al contempo dell’acqua sulla testa del battezzato, acqua che è segno visibile della grazia invisibile. Una spiegazione chiara, che ci permette di capire bene quest’affermazione si trova nella preghiera di benedizione dell’acqua battesimale recitata dal sacerdote nel corso della veglia pasquale: “Morti e resuscitati con Cristo nel battesimo”. Questo ci mostra bene che l’acqua può essere sia simbolo di morte che simbolo di vita.
Nella Liturgia della Notte Pasquale, in occasione della benedizione dell’acqua battesimale, la Chiesa fa solenne memoria dei grandi eventi della storia della salvezza che prefiguravano il mistero del Battesimo:
O Dio… tu operi con invisibile potenza le meraviglie della salvezza; e in molti modi, attraverso i tempi, hai preparato l’acqua, tua creatura, ad essere segno del Battesimo.
Fin dalle origini, il tuo Spirito si librava sulle acque perché contenessero in germe la forza di santificare * Messale Romano, Veglia pasquale: benedizione dell’acqua battesimale. .
Nel diluvio hai prefigurato il Battesimo, perché, oggi come allora, l’acqua segnasse la fine del peccato e l’inizio della vita nuova * “La Chiesa ha visto nell’Arca di Noè una prefigurazione della salvezza per mezzo del Battesimo. Infatti, per mezzo di essa, “poche persone, otto in tutto, furono salvate per mezzo dell’acqua”. CEC § 1219. E se “l’acqua di fonte è simbolo di vita, l’acqua del mare è un simbolo della morte. Per questo poteva essere figura del mistero della Croce. Per mezzo di questo simbolismo, il Battesimo significa la comunione alla morte di Cristo.” CEC 1220. .
Tu hai liberato dalla schiavitù i figli di Abramo, facendoli passare illesi attraverso il Mar Rosso, perché fossero immagine del futuro popolo dei battezzati. * “E’ soprattutto la traversata del Mar Rosso, vera liberazione di Israele dalla schiavitù d’Egitto, che annunzia la liberazione operata dal Battesimo” CEC § 1221.
La benedizione ricorda, infine, il Battesimo di Cristo:
Il tuo Figlio prediletto, battezzato da Giovanni nelle acque del Giordano, ha ricevuto l’unzione dello Spirito Santo.
Mentre era sulla croce, dal suo costato aperto sono sgorgati sangue ed acqua; e dopo la sua Resurrezione, affida agli Apostoli questa missione: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. * “Tutte le prefigurazioni dell’Antica Alleanza trovano la loro realizzazione in Gesù Cristo. Egli dà inizio alla sua vita pubblica dopo essersi fatto battezzare da San Giovanni Battista nel Giordano e, dopo la sua Resurrezione affida agli apostoli questa missione: “Andate, dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato.” (Mt 28 19-20). CEC 1223.
La benedizione prosegue evocando il Battesimo nella Chiesa:
Ora, Signore, guarda con amore la tua Chiesa e fa sgorgare in essa la fonte del battesimo.
Che lo Spirito Santo doni, attraverso quest’acqua, la grazia di Cristo, affinché l’uomo, creato a tua immagine lavi, attraverso il battesimo, le impurità che deformano la tua immagine e rinasca dall’acqua e dallo Spirito per una vita nuova di figlio di Dio. * “E’ con la sua Pasqua che Cristo ha aperto a tutti gli uomini le fonti del battesimo. Egli, infatti, aveva già parlato della Passione, che avrebbe subito a Gerusalemme, come di un “Battesimo” con il quale doveva essere battezzato. (Mc 10 38). Il Sangue e l’acqua sgorgati dal fianco trafitto di Gesù crocefisso (Jn 19 34) sono segni del Battesimo e dell’Eucarestia, sacramenti della vita nuova: da quel momento è possibile “nascere dall’acqua e dallo Spirito” per entrare nel Regno dei cieli (Jn 3 5)”. CEC § 1225.
Infine il Sacerdote conclude la benedizione immergendo il cero pasquale nell’acqua dicendo:
Noi ti preghiamo, o Signore: per la grazia del tuo Figlio, che la potenza dello Spirito Santo venga su quest’acqua, affinché ogni persona che sarà battezzata, seppellita nella morte con Cristo, resusciti con lui per la vita. * Secondo l’apostolo san Paolo, mediante il Battesimo, il credente comunica alla morte di Cristo; con lui è sepolto e con lui risuscita: “Quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siano stati battezzati nella sua morte. Per mezzo del Battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova.” (Rm 6 3-4). CEC § 1227.
Così, attraverso il battesimo, il Cristo ci fa partecipare alla sua morte e alla sua resurrezione.
Più profondamente uniti alla Chiesa attraverso il loro impegno
La formula utilizzata (più profondamente uniti) potrebbe sorprendere. L’impegno sarebbe forse al di sopra del battesimo così che, attraverso di esso, noi saremmo più profondamente uniti alla Chiesa? Va da se che una tale interpretazione debba essere scartata. Mantenerla, significherebbe considerare (orgogliosamente) che i fratelli e le sorelle di San Francesco, grazie al loro impegno, siano dei super cristiani al di sopra di tutti gli altri. In realtà, l’impegno francescano è, qui, come assimilato al sacramento della Confermazione. Tuttavia, non si tratta di dire, o di lasciar pensare, che l’impegno francescano “rimpiazzi” il sacramento della Confermazione, o che “sia esso stesso un sacramento”. Ma possiamo affermare che l’impegno francescano è come una manifestazione sensibile, come un’applicazione concreta del sacramento della Confermazione. Ed è in questo senso che deve essere letto questo passaggio. Due argomenti principali testimoniano dell’esattezza di questa interpretazione: innanzitutto, il lessico utilizzato; in seguito, la posizione dell’affermazione stessa nel contesto dell’articolo 6.
Torniamo al lessico utilizzato nell’articolo 6 e compariamolo a quello che ritroviamo nella definizione del sacramento della Confermazione e delle grazie che procura. “Essi (i fratelli secolari di San Francesco) sono ancora più profondamente uniti ad essa (la Chiesa) grazie al loro impegno”. Ora, ritroviamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica le indicazioni seguenti: “Mediante la Confermazione, i cristiani, ossia coloro che sono unti, partecipano maggiormente alla missione di Gesù Cristo ed alla pienezza dello Spirito Santo di cui Egli è ricolmo * CEC 1294. Cf. § supra, “Lo Spirito di Dio riposa su di me”.”; e un po’ dopo: “Coloro che sono stati elevati alla dignità del sacerdozio regale per mezzo del Battesimo e sono stati conformati più profondamente a Cristo mediante la Confermazione… * CEC 1322. Cf. § supra, “Lo Spirito di Dio riposa su di me”.”. Inoltre, possiamo leggere nell’introduzione al rito della Confermazione: “E’ dunque necessario spiegare ai fedeli che la ricezione di questo sacramento è necessaria per il rafforzamento della grazia battesimale. * CEC 1285. Perché un sacramento della Confermazione a parte (o in più)? I riformatori del XVI secolo hanno rifiutato la Confermazione come sacramento pensando (fu il caso di Calvino) che in tal modo si svalorizzasse il battesimo in quanto considerato come incompleto, come qualcosa da “terminare”. Se dimentichiamo il legame tra Battesimo e Confermazione, questa critica potrebbe essere giustificata. Ma tale non è l’insegnamento del Concilio Vaticano II. - Vedi: Cardinal Cristoph SCHÖNBORN, Liturgie et Sacrements, Saint Paul, 1999, cap. 25, “Il Battesimo e la Confermazione”, p. 83. (una parte di questo paragrafo sulla confermazione è estratta da quest’opera).” Vediamo quindi bene che le spiegazioni riguardo al sacramento della Confermazione utilizzano riguardo al Battesimo gli stessi termini che si trovano nell’articolo 6 della nostra regola a proposito dell’impegno.
Il secondo argomento riguarda la posizione della frase “più profondamente uniti ad essa grazie al loro impegno” rispetto al testo che la precede ed al testo che la segue.
Ciò che precede è il Battesimo, che rende membra vive della Chiesa. Ora, entrambi i sacramenti, Battesimo e Confermazione, trasmettono lo Spirito Santo ed i suoi doni, ma, come la nascita e la crescita non possono essere invertite, così il sacramento della crescita nello Spirito Santo deve essere preceduto da quello della rinascita ad una vita nuova. Riguardo al testo che segue: “Si sforzeranno, quindi, di essere testimoni attivi della sua missione… * Nella persona di Gesù Cristo, il regno di Dio si è avvicinato agli uomini. La proclamazione e l’instaurazione del Regno di Dio sono l’oggetto stesso della sua missione sulla terra: “… devo annunciare la buona novella del Regno di Dio, poiché è per questo che sono stato inviato.” (Lc 4 43). E ci invita a seguire i suoi passi, ad annunciarLo a tutti i popoli e a tutti gli uomini, affinché la Rivelazione giunga fino agli estremi confini della terra. ”. Ora, se con il battesimo, ciascuno diventa membro della Chiesa, con la Confermazione appare un altro elemento: non soltanto ogni membro ha bisogno della comunità, ma anche la comunità vive della corresponsabilità e dell’impegno di ciascuno. La Confermazione vuole sottolineare in modo speciale questo aspetto e condurre il giovane cristiano, che è riempito di Spirito Santo, ad essere, per l’avvenire, disponibile per il compito missionario della Chiesa. Così, “con il sacramento della Confermazione, i battezzati vengono vincolati più perfettamente alla Chiesa, sono arricchiti di una speciale forza dello Spirito Santo e in questo modo sono più strettamente obbligati a diffondere e a difendere con la parola e con l’opera la fede come veri testimoni di Cristo” * CEC 1285..
Così, “più profondamente uniti alla Chiesa attraverso il loro impegno” significa che l’impegno nell’Ordine francescano Secolare deve essere pronunciato ed inteso come una manifestazione sensibile, come un’applicazione concreta del sacramento della Confermazione.
I testimoni attivi della sua missione
Il destino di ogni uomo è di diventare simile a Dio attraverso la santificazione che fa dell’uomo un figlio di Dio. Come potrebbe serbare questa buona novella per se stesso? Dio non vuole forse “che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità” (1 Tm 2 4), ossia di Gesù Cristo? “ Voi siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo tratto in salvo, affinché annunziate le meraviglie di colui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua luce ammirabile” (1 P 2 9). L’apostolato è veramente l’attività della Chiesa che consiste nel portare la luce al mondo, a “diffondere il regno di Cristo su tutta la terra * CEC § 863.”.
Il giorno dell’ascensione, il Signore si rivolge ai suoi apostoli in questi termini: “Con la discesa dello Spirito Santo riceverete dentro di voi la forza di essermi testimoni in Gerusalemme, in tutta la Giudea, nella Samaria e fino all’estremità della terra” (Ac 1 8). Come a più riprese nel Vangelo, Gesù si rivolge qui in modo specifico ai suoi apostoli * Non si può, in effetti, considerare che tutte le parole di Gesù rivolte ai suoi apostoli e riportate nei Vangeli ci riguardino ad un livello pari a quello degli apostoli, come, per esempio, “Chi ascolta voli, ascolta me” (Lc 10 16) o ancora, nell’istituzione dell’Eucarestia: “fate questo in memoria di me” (Lc 22 19).. Non dobbiamo, però, trarre la conclusione che alcune parole di Cristo ci sono completamente estranee per il semplice tatto che si rivolgono agli apostoli. Questo sarebbe altrettanto inesatto quanto il volerle ricevere come se noi stessi fossimo apostoli chiamati da Cristo e dalla Chiesa. Tuttavia, attraverso i suoi apostoli, si rivolge a ciascuno di noi. E che cosa ci dice? Ci dice che grazie alla forza dello Spirito Santo, noi siamo i testimoni attivi della sua missione tra gli uomini. L’attività missionaria alla quale noi siamo invitati si esprime in tutti i luoghi della terra. Innanzitutto, nella città o nel paese in cui ci troviamo.
Per Francesco, è stata, innanzitutto, Assisi, la sua città. E’ questa prossimità che designa Gesù quando parla di Gerusalemme. E poi, nella propria regione, la Giudea per gli apostoli, l’Umbria per Francesco, e la nostra regione per noi. In seguito, nella regione che si trova proprio accanto, la Samaria, ed infine, fino ai confini della terra, un po’ come un’onda provocata da un sasso che viene gettato nell’acqua di un lago.
L’articolo 6 della nostra regola non ci dà alcuna indicazione sui metodi pratici da utilizzare per essere missionario. A questo proposito, parla piuttosto di creatività apostolica, cosa che significa che la missione non si rinchiude in una metodologia o in una logistica stabilita ed ufficiale, ma che sta a ciascuno di noi farla vivere. Ma allora, se il metodo pratico non è precisato, come si può essere missionari?
Come essere missionario ?
La forza missionaria non viene dalla nostra forza personale ma dal completo abbandono in Dio. Si tratta veramente di vivere nel mondo secondo il piano di Dio. Ricordiamoci della risposta data da Francesco al Sovrano Pontefice quando questi gli ha fatto osservare che il suo “genere di vita è troppo duro e troppo austero”. Francesco gli risponde: “Mi affido al mio Signore Gesù Cristo…”. E quando Francesco ritorna una seconda volta e gli racconta la storia della donna povera ma bella, la sua conclusione è la stessa: abbandonarsi alla benevolenza del Creatore che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi e fa cadere la pioggia sui giusti e sugli ingiusti.
Non dobbiamo, quindi, mettere un freno allo Spirito Santo che soffia nei nostri cuori per diffondere il regno di Cristo sulla terra. Non consideriamo, quindi, che la missione sia riservata ad una élite intellettuale. Saremmo esclusi, o, peggio ancora, esonerati dall’essere missionari semplicemente perché non abbiamo compiuto dei lunghi e brillanti studi?. Quando Gesù si rivolge ai suoi apostoli e discepoli e dice loro “voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo” parla a tutti coloro che sono presenti, ricchi e meno ricchi, in particolare in termini di cultura intellettuale. E, tra l’altro, il primo Papa che ha scelto, non è forse un pescatore di mestiere? Abbandoniamoci a Dio nel quotidiano. Viviamo nel mondo secondo il piano di Dio, in parole, atti e soprattutto in comunione. Allora saremo missionari.
Con la parola
“In principio era il Verbo, e il verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio. Tutto fu fatto per mezzo di lui, e senza di lui nulla fu fatto di quanto esiste. In lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini. E la luce risplende fra le tenebre, ma le tenebre non l’hanno ricevuta” (Jn 1 1-5). Questa introduzione del Vangelo di San Giovanni ci mostra bene che il Verbo (la Parola) non è soltanto un attributo divino, ma che è Dio. La missione di Cristo sulla terra si è espressa per mezzo della sua parola, una parola di vita, come ci ricorda san Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna * Jn 6 68. Nello stesso senso: “In verità, in verità vi dico: chi custodisce la mia parola, non vedrà la morte in eterno.” Jn 8 51.”. La parola è una delle facoltà proprie dell’uomo. Questa ricorda che è il solo ad essere stato creato ad immagine di Dio ed a sua somiglianza. Gli permette di esprimere i suoi pensieri, i suoi sentimenti, la sua fede nel suo creatore. Nessun’altra creatura, in effetti, è in grado di esprimersi con la parola. E le più belle parole che possiamo dire per esprimere la nostra fede sono le stesse che Gesù Cristo ci ha trasmesso:
- “Vuoi essere guarito?” (Jn 5 6)
- “Nemmeno io ti condanno: va’. E d’ora in poi non peccare più.” (Jn 8 11)
- “Zaccheo, presto, scendi, perché oggi devo fermarmi in casa tua.” (Lc 19 5)
- “Tu seguimi.” (Jn 21 22)
- …
La nostra regola ci invita ad essere testimoni attivi della missione di Cristo mediante la parola. Siamo quindi missionari con la parola! Non si misura mai abbastanza quanto la parola possa fare del bene a chi ascolta o, al contrario, quanto possa fare male, perché è dal cuore che l’uomo trae le parole * “… Dal frutto si conosce l’albero. Razza di vipere, come potete parlare bene voi, cattivi come siete? Poiché la bocca parla per la sovrabbondanza del cuore. L’uomo dabbene, dal suo tesoro buono, cava cose buone; il malvagio, da un tesoro cattivo, cava fuori il male… Poiché sarai giustificato dalle tue parole e dalle tue parole sarai condannato.” Mt 12 33-37.. E parlare è relativamente facile. Se analizziamo bene la cosa, vediamo che una parola “costa” meno sforzo che rendere un servizio. La si può paragonare al sale che si mette nei cibi. Il sale rappresenta solo un’infima parte dell’insieme, tuttavia è questa che dona sapore a tutto. Si ha la stessa cosa con la parola. Alcune parole pronunciate dagli sposi nella loro vita di coppia non sono più nutrienti di un pasto? L’alimento nutre il corpo, ma una parola d’amore riempie il cuore.
La parola è una parte della missione, ma non è la sola. Infatti, per poter trasmettere la Parola, bisogna conoscerla, sperimentarla. Senza questa esperienza, la parola può perdere l’essenziale del suo sapore per chi la riceve. La parola missionaria deve quindi essere accompagnata da qualcosa che si chiama…gli atti!
Con gli atti
Nella parola “atto” possiamo ritrovare la stessa radice di “azione”. Entrambe hanno un’origine etimologica nel verbo latino “agere” che significa “fare, agire”. Ora, per conferire alla parola tutta la sua potenza, è necessario che chi la pronuncia la accompagni con degli atti concreti, visibili. L’assenza di azione discredita la parola e l’annulla completamente. Il Nuovo Testamento ce lo ricorda in continuazione:
“Non chiunque mi dice: “Signore! Signore!” entrerà nel regno dei cieli; ma colui che fa la volontà del Padre mio, che è nei cieli”. (Mt 7 21).
“Sulla cattedra di Mosè si sono assisi gli Scribi ed i Farisei. Fate dunque, e osservate tutto ciò che vi dicono: ma non agite secondo le opere loro, poiché dicono e non fanno”. (Mt 23 2-3) * “Fare ciò che dicono”, poiché essi trasmettono la dottrina tradizionale ricevuta da Mosè. Questo invito non implica seguire le loro interpretazioni personali, di cui Gesù ha più volte mostrato cosa bisogna pensare (Mt 15 1-20; 16 6, 19 3-9).
“Tu credi che Dio è uno solo? Benissimo! Ma anche i demoni lo credono, eppure ne hanno orrore. Vuoi dunque convincerti, o uomo stolto, che la fede senza le opere è inutile?” (Jc 2 20).
Se riprendiamo l’immagine della vita coniugale, i “ti amo” non bastano a se stessi. Non devono invece essere accompagnato dell’aiuto reciproco tra gli sposi, che caratterizza giustamente l’amore coniugale? Immaginiamo che uno dei due sposi dichiari sempre il suo fervore all’altro, ma non lo aiuti mai negli atti della vita quotidiana (salvo impedimento fisico). Quale risonanza questi “ti amo” possono avere nel coniuge? Riprendiamo la frase di San Giovanni citata precedentemente e rimpiazziamo, in questa circostanza, la parola “fede” con la parola “amore”: mostrami il tuo amore con gli atti; io ti mostrerò il mio amore con gli atti.
Annunciare Cristo non fa eccezione a questa evidenza: questo annuncio deve essere fatto non soltanto con la parola, ma soprattutto con gli atti. “E’ precisamente quello che i contemporanei scoprivano in Francesco. Quest’uomo di Dio non si metteva al di sopra di loro. Tra i peccatori, appariva come uno di essi. Era veramente loro amico. Ed in questa amicizia, gli uomini meno raccomandabili e gli esclusi compresero che Dio si era avvicinato a loro: nessuno veniva scartato. Ebbero improvvisamente la certezza che, per quanto fossero miserabili, anch’essi erano amati da Dio, riconciliati con Lui. A questi uomini scossi da questa rivelazione, Francesco poteva dire: “Vi ha perdonati, fate lo stesso. Accoglietevi gli uni gli altri come lui vi ha accolti. * Eloi Leclerc, Le retour à l’Evangile, Desclée de Brouwer 1986, p. 102. ””
Il vangelo del giudizio finale traduce in maniera potente il valore degli atti. Non sono quelli che hanno parlato che ricevono il regno in eredità, ma quelli che hanno agito: “Venite, benedetti del Padre mio, prendete possesso del regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo. Poiché ebbi fame e mi deste da mangiare; ebbi sete e mi deste da bere […]. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando mai ti vedemmo affamato e ti demmo ristoro; assetato e ti demmo da bere? […] E il re risponderà loro: “In verità vi dico; ogni volta che avete fatto questo ad uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l’avete fatto a me”.” (Mt 25 34-40).
In verità, esiste una terza maniera di testimoniare Cristo. E quest’ultima è la più importante…
Con la comunione
Noi possiamo dire e fare, ma l’intenzione interiore sviluppata nella parola o nell’azione compiuta prende, agli occhi del nostro Creatore, un’importanza capitale. Ricordiamoci le offerte di Caino ed Abele (Gn 4 1-16): entrambi hanno presentato un’offerta a Dio. “Ora, il Signore gradì Abele e ciò che gli offriva; ma non riguardò a Caino ed alla sua offerta”. Il seguito del racconto ci fa capire chiaramente che mancava l’amore all’offerta di Caino. Questi compiva soltanto un atto rituale. “Il Signore disse a Caino: “Perché sei sdegnato e perché il tuo viso è contratto? Se tu fai bene, non potrai tener alta la testa? Ma se tu fai male, il peccato non ti sta forse alla porta? Verso di te è la sua brama, ma tu devi dominarlo”.” San Paolo ci ricorda con forza la necessità della carità nel compiere un’azione: “Quand’anche io parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, se non ho la carità * “Contrariamente all’amore passionale ed egoista, la carità (agapè) è un amore di predilezione che vuole il bene dell’altro. La sua forza è in Dio, che ha amato per primo ed ha mandato suo figlio per riconciliarsi con i peccatori e farne degli eletti e dei figli. Attribuito innanzitutto a Dio Padre, quest’amore che è la natura stessa di Dio si trova ugualmente nel Figlio, che ama il Padre e da lui è amato, e come lui ama gli uomini, par i quali si è consegnato alla morte. Infine, è l’amore dello Spirito Santo, che si spande nel cuore dei cristiani, dando loro la capacità di compiere infine questo precetto essenziale della Legge che è l’amore di Dio e del prossimo. Poiché l’amore dei fratelli, e anche dei nemici, è la conseguenza necessaria, la vera prova dell’amore di Dio, il comandamento nuovo dato da Gesù e che i suoi discepoli continuano a predicare. E’ così che Paolo ama i suoi ed è amato da essi. Questa carità, composta da sincerità ed umiltà, di dimenticanza e di dono di se, di servizio e di sostegno reciproco deve essere provata con degli atti e custodire i comandamenti del Signore, rendendo effettiva la fede. Essa è vincolo di perfezione e “copre i peccati”. Appoggiandosi sull’amore di Dio, essa non teme nulla. Esercitandosi nella verità, essa dona il vero senso morale ed apre l’uomo alla conoscenza spirituale del mistero divino, dell’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza. Facendo abitare nell’anima Cristo e tutta la Trinità, nutre la vita delle virtù teologali dove essa è regina, poiché essa non passerà ma sarà nella pienezza della visione, quando Dio accorderà ai suoi eletti i beni promessi a coloro che lo amano.” La Bible de Jérusalem, Editions du Cerf 1956, nota a sulla parola “carità” nell’epistola ai Corinzi (estratto). , io sono un bronzo che suona o un cembalo che squilla. […] E se distribuissi anche tutti i miei beni ai poveri e dessi il mio corpo ad essere bruciato, se non ho la carità tutto questo non mi giova a nulla” (1 Co 13 1-3). Ricordiamoci bene che, per tutto quello che riguarda l’apostolato, “la Carità, attinta soprattutto nell’Eucarestia, rimane sempre come l’anima di tutto l’apostolato * CEC 864..”
Riprendiamo il nostro esempio della vita coniugale, ma questa volta integrandovi i frutti di quest’amore, ossia i figli. Per l’equilibrio e la crescita armoniosa dei piccoli, i segni di affetto e di tenerezza offerti ai bambini costituiscono dei “ti amo” rivolti a loro. Le cure materiali che vengono loro offerte (cibo, abbigliamento,…) concretizzano l’amore verso di loro. Tuttavia, tutto questo ha veramente poco effetto sull’equilibrio e sullo sviluppo del bambino se questi non sente che tra i suoi genitori ci sono una comunione ed un amore reciproco risplendenti. Pancia piena e vestiti caldi e puliti e pure uno straripamento affettivo testimoniato al bambino non possono compensare questo imperioso bisogno di unità coniugale.
Noi troviamo nella parola “comunione” la parola “unione”. Ebbene, è questa unione, questa comunione tra i cristiani che manifesta al meglio agli occhi del mondo la fede in Gesù Cristo! Anche se non è l’unica, poiché ci sono la parola e gli atti, la comunione tra i cristiani resta comunque la migliore testimonianza, il più potente mezzo apostolico. “Amatevi gli uni gli altri!” Dell’amore, ancora dell’amore, sempre dell’amore. Si! Gesù ci invita con insistenza a questo amore reciproco che testimonia il meglio di Dio Amore e Verità.
Concluderemo questo capitolo riportando le parole proferite da Gesù la sera di Giovedì santo. Questa serata passata con gli apostoli è di una densità e di una intensità senza pari. Nel corso di questa cena Gesù istituisce l’Eucarestia. Nel corso di questa cena Gesù annuncia ai suoi apostoli che li lascerà. Nel corso di questa cena spiega loro che invierà lo Spirito Santo. Nel corso di questa cena dice loro addio. Ed alla fine, quando la sua agonia sta per cominciare, Gesù rivolge a suo padre una preghiera di oblazione e di intercessione. Senza mancare di rispetto, potremmo comparare l’insistenza con cui Gesù prega suo Padre per l’unità dei Cristiani ad un’altra insistenza: quella con cui un uomo giusto può rivolgersi ai suoi discendenti che sono al suo cospetto al momento in cui sta per esalare il suo ultimo respiro. Il giusto parla ai figli, alle figlie, ai generi, alle nuore ed ai nipoti. Nel silenzio religioso che si fa attorno al suo letto al momento della sua partenza, il giusto dice ciò che gli sembra essenziale. E tanto che gli resta un po’ di fiato, ripete ed insiste sulle sue ultime volontà. Ascoltiamo Gesù che ci parla nella preghiera rivolta a suo Padre:
“Padre Santo, custodiscili nel nome tuo che mi hai dato, affinché siano una cosa sola come noi” (Jn 17 11)… “Né soltanto per questi ti prego, ma prego anche per quelli che crederanno in me per la loro parola; affinché siano tutti una cosa sola, come tu sei in me, o Padre, ed io in te; che siano anch’essi una sola cosa in noi, affinché il mondo creda che tu mi hai mandato. La gloria che tu mi desti io l’ho data loro, affinché siano una sola cosa, come noi siamo una cosa sola, io in essi e tu in me, affinché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e li hai amati, come hai amato me.” (Jn 17 20-23).
DOMANDE
Ho memorizzato bene ?
- Mi ricordo qual è l’oggetto stesso della missione di Cristo sulla terra?
- Francesco scrive nel suo testamento che farebbe ricorso ai sacerdoti anche se fossero loro a perseguitarlo. In che modo Francesco giustifica questa fiducia senza limiti?
- Qual è il segreto della forza missionaria? E quali sono le tre forme di testimonianza missionaria a cui è chiamato ogni battezzato?
Per approfondire
- Nella celebrazione del battesimo di un bambino piccolo, qual è il segno che mi parla di più? Cosa pensare del battesimo dei bambini? Cosa ne pensa la gente attorno a noi?
- Quali sono i mezzi concreti che metto in opera per essere in piena comunione con il Papa, i vescovi ed i sacerdoti? Devo accettare di fare degli sforzi per vivere questa piena comunione?
- La regola ci invita a rinnovare la Chiesa secondo l’ispirazione di San Francesco. Qual’è (o quali sono) il passaggio (i) della vita di San Francesco che mi aiuta (aiutano) di più a rinnovare la Chiesa? Gesù è la vite e noi i tralci. Innestato sul ramo francescano, posso rendere testimonianza, in tutta semplicità, di alcune azioni concrete realizzate o dei cambiamenti interiori che provoca in me il fatto di “essere tralcio”?